Che la vita di John May, timido e impacciato impiegato comunale, sia all’insegna della sobrietà e della solitudine, lo si può dedurre benissimo già a partire dal nome: comune e ordinario, come i gesti rituali che accompagnano le sue giornate. Il suo compito consiste nell’organizzare i funerali per chi non ha parenti reperibili, e lo svolge con meticolosa dedizione, ai limiti del maniacale. Fino a quando il suo ufficio sarà dislocato e si ritroverà senza lavoro, ma con la ferma intenzione di portare a termine l’ultimo incarico rimasto incompiuto.
Ci sono aggettivi che, quando riferiti a un film, molto spesso lasciano presagire il peggio. Quando si parla infatti di opera delicata, o leggera, o poetica, la tendenza comune è quella di correre ai ripari, nel timore di ritrovarsi sommersi da un buonismo stucchevole e senza rimedio. Nel caso di Still Life, in realtà, la situazione è fortunatamente diversa, nonostante i suddetti aggettivi gli siano stati ugualmente attribuiti, e pure in dosi massicce.
Del resto c’è un precedente, e non da poco. Come noto infatti, nel 1997 Uberto Pasolini produsse il film fenomeno Full Monty, e questa sua opera seconda da regista (la prima era Machan) non si discosta poi molto da quell’idea di cinema: un tema di attualità riletto attraverso i crismi della leggerezza e del sorriso. Il suo è un film che tocca inevitabilmente corde sincere, e riesce a farsi vedere, sentire, e – perché no? - persino commuovere, perché ha il pregio di rimanere sempre sottovoce, senza mai esasperare i toni o le situazioni.
Una favola gentile e triste sulla coerenza di una vita improntata all’etica e al sacrificio, e sui mancati risarcimenti (sia materiali che umani) che ne conseguono. Certo, avere un gigante di attore come Eddie Marsan nei panni del protagonista è sicuramente un aiuto non indifferente, e il ritratto che emerge alla fine è davvero quello di un mondo condannato alla morte e alla solitudine, se pure chi è armato delle migliori intenzioni è costretto a farsi da parte. Ma è anche vero che in tutta questa pulizia (di scrittura, di messa in scena, di sguardo) manca probabilmente quel briciolo di personalità che avrebbe potuto elevare il tutto a un ben altro livello.
Anche così, Still Life rimane un prodotto gradevole (è forse un aggettivo proibito?), capace, immaginiamo, di conquistare un pubblico desideroso di mettere mano ai fazzoletti; e se lo fa, non lo si può certo considerare un difetto. Un film che si prefigge uno scopo, e lo raggiunge nel più semplice, facile e diretto dei modi. Come una linea retta che collega due punti, senza intoppi o deviazioni durante il percorso.
Diligente e premuroso, il solitario John May è un impiegato del comune di Londra incaricato di trovare il parente più prossimo di coloro che sono morti da soli. Quando il suo reparto viene ridimensionato a causa della crisi economica, John dedica tutti i suoi sforzi al suo ultimo caso, che lo porterà a compiere un viaggio liberatorio e gli permetterà di iniziare ad aprirsi alla vita.