Che Ti West sia in qualche modo ancorato al cinema a cavallo degli anni Settanta e Ottanta è un dato di fatto ormai chiaro a chiunque ne segua le fluttuanti gesta. È evidente fin dalle prime immagini anche in X, a cui la distribuzione italiana ha aggiunto il chiarificatore A Sexy Horror Story, giusto per spoilerare sin dall’approccio ciò che il buon West ha comunque congegnato con pazienza all’interno di un film fatto di incroci e sovrapposizioni. 1979, l’edonista Era del passaggio (tra ’70 e ’80) sostituisce l’illusoria (e sopravvalutata) Era dell’Acquario, come già aveva mirabilmente raccontato Paul Thomas Anderson in Boogie Nights, grosso modo (ma molto grosso) riferendosi agli stessi argomenti.
Una troupe improvvisata di Houston, Texas, formata da un produttore-magnaccia che intravede la possibilità di inserirsi nell’imminente esplosione del mercato home video, un giovane regista che inquadra natiche e membri sognando Godard, la sua neofita fidanzata microfonista e tre attori hard, tra cui la diafana Maxine, amante del produttore e talento puro sul set, si isolano in campagna per girare il loro tumultuoso film, dal titolo pruriginoso The Farmer’s Daughter (su cui aleggia il titolo di una canzone. Dei Beach Boys, di Merle Haggard, ma anche di quei Fleetwood Mac di cui Brittany Snow canta Landslide in un momento comunitario totalmente gratuito ma che fa tanto quiete prima della tempesta). La tempesta, per l’appunto, si manifesta con i consueti toni da gotico americano, basati sulla disparità di visione del mondo, su diverse aspirazioni e frustrazioni, su una morale che si compendia in follia, situazioni che in storie di questo tipo s’impadroniscono immancabilmente dei residenti, pronti a (ri)marcare il loro territorio.
West narra riferendosi a un ovvio passato in cui si miscelano i classici di Tobe Hooper (Non aprite quella porta, certo, ma anche Quel motel vicino alla palude), Wes Craven (L’ultima casa a sinistra, Le colline hanno gli occhi) e si cita Psycho virandolo verso situazioni improprie (usandolo come precedente illustre per un porno che a metà vorrebbe introdurre un nuovo protagonista per giustificare curiosità lubriche e inserendo un omaggio telefonato alla scena della doccia, risolvendola in due momenti distinti). Eppure c’è qualcosa di raffinato nella costruzione di quello che in tutta evidenza appare come un tardo slasher che guarda al passato, anche se griffato da una delle case di produzione più à la page che ci siano in questo momento, la A24. Prima di tutto, al di là di una tensione che trova soddisfazione in momenti ingegnosi ma comunque quasi tutti già visti, West capovolge uno dei tanti cliché dell’horror di facile presa, quello che pretende che i primi a morire siano i personaggi sessualmente più attivi (e in un film i cui i protagonisti sono i membri di una troupe porno è una scelta sicuramente ben ponderata), preservando come final girl un soggetto tutt’altro che virginale, come previsto dalle – moralistiche, occorre dirlo – consuetudini del genere; figura su cui, tra l’altro, nell’ultima sequenza si aprono altre parentesi insolite ma che appartengono al passato del regista (penso soprattutto al clima di The Sacrament). L’altra finezza architettata da West è di anticipare con un certo margine la fine dei vari personaggi tramite alcuni riferimenti visivi o con battute di dialogo che possono essere apprezzati pienamente solo a una seconda visione o avendo una memoria prodigiosa simile a quella di Dustin Hoffman in Rain Man (con una capacità di rielaborazione e sintesi maggiore, però).
Ben nascosto tra le pieghe di un lavoro in cui sangue, budella e pudenda sono la cifra stilistica, emerge un tentativo di inserire una riflessione più approfondita sullo statuto e il valore etico delle immagini. Come si sa, horror e porno funzionano in base a un meccanismo psicologico simile: attraggono stimolando l’istinto voyeuristico, sfruttando la distanza che separa dagli schermi e garantendo una sorta di immunità rispetto a ciò che si osserva con attenzione. «In fondo, il fatto è che facciamo eccitare la gente. E questo li spaventa», «Ma non possono distogliere lo sguardo» è l’indicativa e coordinata spiegazione che forniscono nel film Mia Goth e Brittany Snow, due delle attrici hard, alla microfonista interpretata da Jenna Ortega, desiderosa di entrare a far parte di quelle immagini che in quel momento la incuriosiscono solo come osservatrice esterna. Il disegno ambizioso di West è sovrapporre le specificità dei due voyeurismi per indagare la visione come stimolo, come induzione a introdursi nel tessuto delle immagini per assumerle come esperienza, più che a osservarle bramando.
È ciò che, oltre alla microfonista, ambisce a fare la padrona di casa, l’anziana Pearl (interpretata da una truccatissima Mia Goth, in un doppio ruolo che fa da contraltare alla sua vitalità erotica), attraverso il cui sguardo appartato, clandestino, si condensa tutto il desiderio inappagato di chi non può accettare il compimento del suo tempo (tra l’altro, contemporaneamente a X è stato girato anche il prequel Pearl, con protagonista proprio l’anziana padrona di casa negli anni della sua prima giovinezza. Prossimamente su questi stessi schermi). Ed è anche ciò cui allude costantemente il film, dichiarando i suoi intenti fin dalla prima inquadratura, mentre la cinepresa osserva la scena del delitto riparata dagli stipiti di una porta d’ingresso. Tutto si modula intorno al desiderio di una visione assoluta, furtiva e ambiziosa, fatta di piani dall’alto (sulla doccia, sul letto a osservare le coppie che dormono, nello stagno a segnalare la minaccia di un alligatore), che dotano il pubblico di una cognizione maggiore rispetto ai personaggi, e di punti di vista celati, pronti a rivelare il pericolo che costituiscono.
È il principio base della suspense, ovvio, ma West aspira alla percezione totale, coniugando le prospettive di due generi che dell’osservazione spiata fanno la loro caratteristica principale. Non si può dire che raggiunga pienamente l’obiettivo, perché è ancora evidente la distanza tra la completa padronanza del mezzo e un grado più elevato di scrittura, ma già lo sforzo di porsi un obiettivo diverso, a suo modo concettuale, rispetto al semplice uso e abuso dei corpi è certamente un aspetto apprezzabile.
Nel 1979, una giovane troupe decide di girare un film per adulti nelle zone rurali del Texas, ma l’anziana coppia che la ospita, in una fattoria isolata e indisturbata, comincia a nutrire un interesse lascivo per i giovani attori. Durante la notte, questo interesse morboso esploderà in tutta la sua violenza e terrore.