È cominciata in grande stile la 41° edizione del Festival di Toronto, che dura dall’8 al 18 settembre (e chiuderà, come ogni anno, con un premio assegnato dal pubblico). O almeno, lo ha fatto come sempre per apparizioni sul red carpet - Natalie Portman, Nicole Kidman e Christian Bale, per citarne giusto alcuni - gossip, look interessanti e anche, seppure meno di altri anni (senza entrare nell'eterna questione dei rapporti di forza con Venezia e Telluride), anche dal punto di vista cinematografico.
Tra i film più attesi al TIFF, infatti, Snowden, American Pastoral e (Re)Assignment. Un successo e due flop, stando alla critica americana.
Partiamo dalle buone notizie.
Snowden, biopic politico dal sapore thriller, è diretto da Oliver Stone e scritto dallo stesso in collaborazione con Kieran Fitzgerald. Protagonista è Joseph Gordon-Levitt, che interpreta per l’appunto Edward Snowden, il whistleblower oggi 33enne e rifugiato politico in Russia che nel 2013 diede avvio al celeberrimo scandalo Datagate. L’allora tecnico informatico dell’NSA (National Security Agency) fornì infatti al “The Guardian”, e poi a tutta la stampa mondiale, informazioni segrete su attività illegali e prove di intercettazioni svolte dall’Agenzia stessa a danno dei cittadini.
Basato sui due libri The Snowden Files di Luke Harding e Time of the Octopus di Anatoly Kucherena, il film viene descritto nel sito del Festival come “un lavoro sul nuovo mondo in cui siamo finiti a vivere - un mondo che molti di noi non conoscevano, prima che Edward Snowden avesse il coraggio di mostrarcelo”. Per la critica, in generale, si tratta di un film fondamentale per capire chi sia veramente Snowden, al di là delle prese di posizione degli ultimi anni, che lo hanno voluto nella parte o dell’eroe o del traditore. E perciò in molti, uno su tutti “Variety”, lo elogiano, descrivendolo «non solo il miglior film di Oliver Stone dai tempi de Gli Intrighi del Potere - Nixon (1995), ma anche il dramma politico più entusiasmante firmato da un regista americano negli ultimi anni». Non mancano, tuttavia, pareri meno calorosi: per l’“Hollywood Reporter” è troppo grande la distanza tra la personalità poco carismatica di Snowden e l’universo creato da Stone, così come carente è l’empatia che il film riesce a trasmettere al pubblico.
Negative all’unanimità, invece, le opinioni su American Pastoral, esordio alla regia di Ewan McGregor (nonché interprete principale del film) e progetto arrivato finalmente alla conclusione dopo anni di rinvii e cambi di regista. Scritto da John Romano, il film si basa su uno dei romanzi americani più celebri degli anni ‘90 e vincitore del Premio Pulitzer: Pastorale Americana di Philip Roth.
American Pastoral racconta perciò la vicenda di Seymour Levov detto “lo Svedese”, un uomo che dalla vita ha avuto tutto (bellezza, carriera, soldi, una moglie ex Miss New Jersey e una bambina a lungo desiderata), ma il cui mondo va in pezzi quando la figlia, ormai adolescente, compie un attacco terroristico che provoca una vittima. Come è possibile che una tragedia di questo tipo sia accaduta proprio allo Svedese, la persona che per tutta la sua vita ha incarnato il Sogno Americano? Dove ha sbagliato?
Stando a quanto si legge sui siti della critica d'oltreoceano, nel film mancano proprio la profondità e la complessità che queste domande portano con sé e che il libro sapeva brillantemente sviscerare. “Il debutto alla regia di Ewan McGregor è tanto piatto e asfittico, quanto il romanzo di Philip Roth è impetuoso e ampio” - scrive infatti “Variety”. «American Pastoral prova di adattare il più grande dei romanzi dell'ultimo periodo di Roth con ovvia ammirazione e tentata fedeltà, ma il cuore del libro gli scivola dalle mani sempre di più a ogni scena». Il risultato è uno «Svedese che non è né carne, né pesce, ma un blando uomo qualunque». Rincara la dose, David Ehrlich di “Indiewire”: «Uno dei romanzi più acuti del XX secolo diventa uno dei film più sbagliati del XXI». Insomma, nonostante il cast che comprende nomi come Jennifer Connelly, Dakota Fanning e David Strathairn, il progetto di portare al cinema la prosa di Roth, con quella sua complessità che l’ha resa celebre, fallisce ancora una volta: solo di pochi mesi fa, ci ricorda la stampa USA, l’insuccesso di Indignazione di James Schamus.
Ancora più aspre, poi, le critiche per (Re)Assignment, ritorno alla regia di Walter Hill.
Il crime-thriller, scritto dallo stesso Hill con Denis Hamill, vede nel cast Michelle Rodriguez, Sigourney Weaver, Tony Shalhoub, Anthony LaPaglia Terry Chen, Paul McGillion e Caitlin Gerard, e, come si legge nel sito del TIFF, per la prima volta si allontana dallo stereotipo dell’uomo d’onore in un mondo violento, messo in scena da Hill per circa 40 anni, per presentare invece “un uomo in un corpo da donna, alle prese con cose da uomini”.
La vicenda narrata, infatti, è quella di Frank, killer a pagamento catturato da una chirurga plastica, la quale, per vendicare la morte del fratello, anche lui tra i bersagli dell’assassino, lo opera per cambiargli sesso. La traumatica esperienza porta Frank a cambiare: allertata la polizia della pericolosa chirurga, diventa così il giustiziere delle ragazze vittima di soprusi. Una trovata originale, indubbiamente, per portare sul grande schermo uno dei grandi temi del nostro tempo: la transessualità. Originale, ma non funzionale. Il risultato, sembra essere, infatti, un film piuttosto scadente: mentre "Variety" lo definisce visivamente scialbo, nonostante i rimandi alla graphic novel, “The Guardian” lo fa letteralmente a pezzi, sostenendo che mentre lo si guarda ci si ritrovi a pensare what the hell were they thinking?. E ancora: «Quando i film non sono solo brutti, ma anche incompetenti, incoerenti e incomprensibili, cominci a chiederti se a capo di tutto ci fosse effettivamente un essere umano o se piuttosto a un gruppo di scimmie sia stato dato libero sfogo e questo sia ciò che hanno prodotto. Questo è il caso di (Re)Assigment, un B-movie, dove la B sta per bad, brutto».
Inaspettata e chiacchierata, infine, è stata soprattutto la reazione del pubblico di fronte a Raw di Julia Ducournau, film horror che mette in scena la storia di donna vegetariana che si scoprirà sorprendentemente un’amante della carne umana. Già presentato al Cannes, il film sembra aver scioccato completamente gli spettatori canadesi, causando anche qualche svenimento e l’intervento di paramedici.