Ci sono due momenti significativi in Amori che non sanno stare al mondo. Entrambi coincidono con un monologo della protagonista Claudia, docente universitaria di Roma, quarantenne colta, bella, nervosa, ironica, geniale, eccessiva, e soprattutto distrutta per la fine della relazione con l’uomo che ama.
Nel primo momento Claudia rivede dopo diverso tempo, Flavio, il suo ex, collega, compagno e amante che l’ha lasciata a un passo dal matrimonio. Lo vede nell’atrio dell’ateneo e incurante di spiattellare al mondo il suo dolore, gli chiede a gran voce se per caso l’abbia lasciata per via di uno stupido dettaglio della loro storia, una risposta eccessivamente rude alla richiesta di un favore da parte sua. Flavio guarda Claudia con sguardo di sfida, e risponde “sì”. Al che lei, ormai sola e definitivamente abbandonata, ammette che, sì, quella risposta maleducata è stata un errore imperdonabile, ma che non poteva fare altrimenti. Cedere alla sua richiesta, avrebbe significato perdere la propria indipendenza, abbandonare la resistenza al desiderio inconscio di votarsi totalmente a lui, la resistenza verso quello che sembra il destino di ogni donna: essere devota al proprio uomo.
È un passaggio decisivo del film, la scena madre con cui Francesca Comencini rende esplicito il nocciolo del suo lavoro sul corpo e sull’anima della sua protagonista. Per una volta, poi, è anche un momento di cinema consapevole e lucido. Poco prima che Claudia finisca il suo monologo, infatti, la regista compie l’unico gesto veramente cinematografico del film: inserisce inaspettatamente il totale di una stanza da bagno, curata e molto femminile, in cui siede una giovane donna bellissima e dall’aria dolce. È la nuova compagna di Flavio, Giorgia, l’immagine stessa della devozione, come si scoprirà nelle scene successive, e quel fotogramma improvviso è un flashforward che in realtò rimanda non al proseguo della storia e al divenire delle cose, ma al contrario al loro eterno ripetersi. Un inserto inatteso e splendido, che illumina con un semplice stacco di montaggio una condizione che accomuna ogni donna, moglie, amante, giovane, matura, tradita o traditrice che sia: una condizione di subalternità inconsapevole, di devozione e dolore indotti.
Amori che non sanno stare al mondo parla soprattutto di questo: della dipendenza dall’amore a cui ogni donna sembra essere condannata, della catena di responsabilità sentimentali che ne consegue ma anche del cammino di liberazione di una donna che per amare non è disposta a barattare la propria unicità rivendicando il diritto di rinunciare alla devozione verso il proprio uomo.
Il secondo momento importante del film è quello finale: Claudia, guarita dalla malattia d’amore, incontra per un’ultima volta Flavio. Lui è sposato con Giorgia, è invecchiato ma sembra felice, forse ama ancora Claudia ma ammette dentro di sé di non aver saputo tollerare la voracità del suo amore. Claudia è finalmente in grado di affrontare Flavio, gli augura di avere una figlia, una splendida bambina che amerà, alleverà e vedrà crescere, salvo poi perderla e non seguirla più quando si innamorerà di un uomo come lui, che la farà soffrire e la imprigionerà in una relazione impossibile da districare. E gli augura di non capire, di provare anche lui quel sentimento d’impotenza che ogni donna sperimenta di fronte a un uomo a cui è concesso il privilegio della libertà, laddove la donna è invece vittima di un gioco delle parti unanimente accettato che la vede sempre perdente. Non più una questione di soffocamento delle emozioni, come in un mélo anni ’50, ma una questione di genere, di tempo e cultura.
In mezzo a questi due momenti illuminanti, Amori che non sanno stare al mondo non riesce purtroppo a mantenere il medesimo controllo di stile e scrittura. È soprattutto una questione di regia: la commedia sentimentale è sì, e anche giustamente, al servizio della sua protagonista sopra le righe – e dunque è nevrotica, impazzita e schizzata – ma quasi mai in grado di restare fedele alla propria notevole sceneggiatura (che proviene dall’omonimo romanzo della stessa Comencini). Metafore visive (l’albero malato di fronte alla casa di campagna di Flavio, la pioggia che fa sbocciare l’amore fra Flavio e Giorgia, il cappello di Claudia che nel finale vola nel Tevere…) e scene ridondanti (come quando Nina, la ballerina amante di Claudia, spiega per filo e per segno il motivo per cui Claudia non sarà mai in grado di farsi amare da qualcuno) rendono il tono inutilmente pedante. E la scelta di inserire una scena onirica in cui Silvia Calderoni spiega le dinamiche del desiderio nella società etero-capitalista, opponendo alla solitudine sentimentale di ogni donna single che ha superato i 40 anni la nostalgia passatista per una società contadina in cui l’amore fra adulti si viveva e consumava nella balere estive, è francamente imperdonabile, è il segno di una morale inutilmente ironica o peggio ancora ambigua (davvero? davvero l’idea che nell’innocenza delle anime contadine risieda il germe della felicità è una valida alternativa all’emancipazione femminile di questi ultimi cinquant’anni?)...
È un peccato, insomma. Un peccato perché Amori che non sanno stare al mondo è un film molto più intelligente e moderno della sua agitata commistione di autoironia, autocommiserazione e indulgenza. Un film a cui paradossalmente basterebbe assecondare alcuni notevoli passaggi di dialogo, invece di ballare costantemente al ritmo di sette ottavi, sperando di ridere e al tempo stesso piangere per le disgrazie ridicole e umanissime di una donna come tante, chissà se come tutte.
Claudia e Flavio si sono amati, a lungo e morbosamente. Poi tutto è finito, e per lei è stato un trauma. Dopo anni, quello che entrambi vedono è un mondo alla deriva, come un’isola. Lui ha la furia di andare avanti, tornare a terra; lei non vorrebbe dimenticare mai. Flavio incontra Giorgia: basta un attimo tra loro e la pioggia d’estate fa il resto. Claudia e Nina si conoscevano già, ma non immaginavano che il loro rapporto si sarebbe trasformato in amore. Eppure Nina è bellissima, e il suo abbraccio ha una forza a cui nessun donna può sottrarsi.