Ormai lo sappiamo bene, basta leggere i giornali: il terrorismo genera paura, angoscia, apprensione. Ma questi sono solo gli effetti immediati, cui poi ne fanno seguito altri. Danni collaterali, li si potrebbe chiamare: stanno ai margini dell’azione terroristica, riguardano non tanto le vittime immediate, quanto quelle che ne pagano le conseguenze in modo differente e differito.
Di loro parla Dopo la guerra, delle persone che gravitano attorno al terrorista, catapultate loro malgrado, a causa delle sue scelte estreme, in un mondo di eccezionalità e sacrifici cui farebbero volentieri a meno.
Da tempo rifugiatosi in Francia dopo avere vissuto da protagonista gli anni di piombo, omicidio politico compreso, Marco Lamberti a vent’anni di distanza torna agli onori della cronaca per il delitto di un professore universitario, rivendicato da un gruppo che porta lo stesso nome di quella che era, a suo tempo, la sua fazione armata. Sebbene non c’entri nulla, l’annullamento della legge sull’estradizione lo pone improvvisamente a rischio di rientro forzato e detenzione in Italia.
Le conseguenze della situazione ricadono sulla figlia adolescente Viola, sradicata dalla sua vita parigina e costretta a seguire il padre in un casolare di campagna da dove organizzare la fuga in Nicaragua, e sulla madre e la sorella, che a Bologna, teatro del nuovo omicidio politico, devono reggere il peso di un cognome ridiventato ingombrante.
A loro – donne smarrite e costrette a violentare le proprie vite – il film di Annarita Zambrano dedica attenzioni e sguardi complici, celebrandone l’ordinario eroismo attraverso un repertorio di gesti comuni – telefonare, mangiare, vestirsi, giocare a pallavolo, dare lezioni di pianoforte, andare a una festa – dei quali vengono improvvisamente ed ingiustamente espropriate, in ragione della loro prossimità familiare col terrorista.
Questa concretezza quotidiana, quasi insignificante nella sua disarmante semplicità, si staglia sullo sfondo di una lotta politica che, come emerge dalle frasi sprezzanti dello stesso Lamberti, usa il consueto repertorio di luoghi comuni: le contraddizioni del capitale, la corruzione del sistema, un paese, il nostro, alla deriva.
Ed è qua, nell’opposizione fra una retorica vuota ed altisonante (peraltro la stessa che, nella sequenza iniziale, segna la contestazione studentesca al professore universitario che sarà poi ucciso) e una pratica silenziosa, solidamente aggrappata al reale, che Zambrano trova un varco espressivo capace di raccontare la stagione del terrorismo in modo nuovo. Con uno sguardo laterale, quasi strabico, che guarda ai bordi della Storia per coglierne meglio l’essenza.
Bologna, 2002. La protesta contro la riforma del lavoro esplode nelle università. L’assassinio di un giusvalorista riapre vecchie ferite politiche tra Italia e Francia. Marco, ex-terrorista, condannato per omicidio e rifugiato in Francia da 20 anni grazie alla Dottrina Mitterand, che permetteva agli ex terroristi di trovare asilo oltre Alpe, è sospettato di essere il mandante dell’attentato. Quando il governo Italiano ne chiede l’estradizione, Marco decide di scappare con Viola, sua figlia adolescente. La sua vita precipita, portando nel baratro anche quella della sua famiglia italiana, che, da un giorno all’altro, si ritrova costretta a pagare per le sue colpe passate.