Georges Simenon aveva coniato una definizione per i suoi romanzi senza Maigret. Li chiamava infatti, romans durs, espressione da noi traducibile con «romanzi neri». In generale, i protagonisti sono uomini comuni, senza vere qualità, che vivono in contesti anonimi oppure ordinari e si ritrovano, per caso o per scelta, a precipitare nella spirale irreversibile di un Male silenzioso che ne sfalda l’esistenza sotto il peso di un destino ineluttabile.
Uno di questi romans durs è La morte di Belle, pubblicato nel 1952 e scritto l’anno precedente presso la fattoria Shadow Rock nella contea di Litchfield. Ed è proprio qui, piccolo angolo semi-collinare del Connecticut, che Simenon ambienta la vicenda del suo Uomo Qualunque. Nello specifico, il grigio professor Spencer Ashby, insegnante di liceo poco più che quarantenne, la cui vita è scandita da una totale atarassia e da abitudine rigide e rassicuranti. Tutto, però, destinato a sprofondare quando la diciottenne Belle Sherman, figlia di una vecchia amica di sua moglie Christine e che da qualche tempo si trovava ospite proprio dai coniugi Ashby, viene trovata assassinata nella sua camera da letto. Da qui, il romanzo intraprende una doppia traiettoria: da una parte, quella seguita da una comunità inquisitoria alla ricerca di un mostro da sbattere in prima pagina e che sceglie Spencer come destinatario del suo desiderio di giustizia sommaria; dall’altro, quella del radicale stravolgimento della percezione di sé del protagonista, segnata dalla prepotente emersione di pulsioni, istinti e desideri che fino a quel momento giacevano sopiti e mascherati dal trauma inespresso dell’impotenza sessuale. La morte di Belle, quindi, non è solo una tragedia destinata forse a rimanere impunita ma anche l’innesco della miccia che fa esplodere la fragile mente del protagonista.
Parlare così diffusamente del romanzo (già adattato da Édouard Molinaro in Chi ha ucciso Belle Shermann? [1961] e da Denis Malleval nel televisivo e da noi inedito Jusqu’à l’enfer), in questo caso, non è sbagliato. Perché il significato più profondo di Il caso Belle Steiner di Jacquot non risiede tanto nell’inevitabile slittamento spaziotemporale dell’ambientazione nella contemporanea provincia francese, quanto nel rapporto che costruisce con l’originale letterario. Tant’è che, per amor di brevità, si potrebbe dire che il film è più stracco e anodino quando rimane troppo fedele a Simenon, senza però possederne la perfezione clinica del tratteggio e le geometrie crudeli della morfologia del conflitto, mentre sorprende quando se ne distacca.
Del protagonista di questo adattamento, che si chiama Pierre Constant (Guillaume Canet) e insegna matematica al liceo George Simenon (che fantasia…), conosciamo fin da subito le pulsioni voyeuristiche (osserva dalla finestra il bagno della vicina di casa), l’inerzia emotiva, il distacco gelido da tutto ciò che lo circonda, tant’è che persino l’ombra della sospetta colpevolezza sembra scuoterlo solo incidentalmente. Sua moglie Cléa (Charlotte Gainsbourg), che possiede un negozio di ottica ed è un membro di spicco della comunità, è invece un personaggio diverso dalla sua controparte letteraria. Non è infatti un’algida upper classer che si trincera dietro un mutismo ostile e ambiguo, incapace di suscitare l’interesse sessuale del marito e prigioniera di un’esistenza votata al rispetto del buonsenso e delle aspettative sociali. Al contrario, sfoga le sue pulsioni col vecchio amante Michel e rimane sempre tutt’altro che passiva, figura libera e vitale che genera una frattura ancor più marcata con l’immobilismo apatico del marito.
E se in Simenon il meccanismo dell’inchiesta, pur destinato a uno scacco beffardo, conservava invariata la sua centralità, Jacquot ne è invece quasi del tutto disinteressato. Così come non sembra intenzionato ad approfondire granché né il frastuono mediatico generato dai nuovi mezzi di comunicazione (ovvero dalle nuove pubbliche piazze) né il ritratto della defunta, la cui condotta sregolata e sessualmente smaliziata diventava in Simenon una sorta di detonazione fantasmatica capace di sconvolgere tutte le sicurezze del protagonista. Il suo è un noir costruito quasi interamente sui principi dell’ellisse e della semisoggettiva, dove anche gli ambienti sono spesso illuminati per metà in penombra e gli sguardi altrui diventano immediatamente una forma di condanna. E che trova la sua vera ragion d’essere nel finale: perché se nel romanzo l’incontro con la procace stenografa Anna Moeller (Aurélie nel film) conduceva a un esito morbosamente tragico, nella versione di Jacquot diventa occasione (non solo simbolica) di rottura con l’illusorio convincimento che la violenza (reale o illusoria, fisica o psicologica) possa essere una soluzione ai suoi turbamenti.
In fondo, Simenon si limitava a sancire la fine di colui che fin dalla prima pagina veniva presentato come un dead man walking, mentre Jacquot sceglie di mettere il protagonista a confronto con tutta una serie di figure di transito per materializzarne un’ambigua riconciliazione coi propri luoghi oscuri (motivo per cui, a ben vedere, non è impossibile ribaltare il giudizio sulla colpevolezza di Pierre: e se….). Certo, in molti, ripensando alle vicende personali del regista e alle accuse di molestie rivoltegli da quattro attrici (Julia Roy, Isild Le Besco, Vahina Giocante e Judith Godrèche) interpreteranno proprio questo finale come una sorta di excusatio non petita o di tentativo di autoassoluzione per interposto personaggio (tanto che il film esce con un disclaimer che esprime solidarietà nei confronti delle vittime). Ma non è questa la sede in cui discutere di vicende di pertinenza giudiziaria, anche perché, come detto, a una lettura non superficiale, la conclusione è decisamente più vaga e incerta di quanto si possa pensare. Rimane invece un fatto degno di nota: ed è che il film, lasciando aperto ogni giudizio, suggerisce l’esistenza di una pluralità di significati e interpretazioni di ogni azione e di ogni gesto, metafora dell’incertezza radicale che caratterizza la condizione umana.
Pierre e Cléa vengono coinvolti in un tremendo omicidio che si verifica in casa della coppia, dove viene uccisa la figlia di un'amica, loro ospite. L'uomo viene subito indagato, perché presente nell'appartamento al momento dei fatti. Non sarà semplice dimostrarsi innocente.