D'accordo. È vero che l'horror è un genere in cui l'attesa dello spettatore si attesta su un orizzonte sempre piuttosto prevedibile e che i topoi e le ricorrenze sono essi stessi il suo nutrimento narrativo. Però. Tra l'appartenere a un genere e il rendere i prodotti indistinguibili, la differenza è abissale. Anni di pazienza nella speranza di un horror che si elevi da una massa indistinta all'interno della quale si fa fatica anche a ricordare il titolo corretto. Le origini del male, propagandato come "il film che ha sconvolto il mondo" e tratto - fin troppo liberamente - da un esperimento realmente condotto (da un gruppo di parapsicologi canadesi guidati dal dottor Alan Owen - vedi qui http://vimeo.com/94576042) è solo l'ultimo, in ordine di uscita, dei tanti casi possibili.
Oxford, 1974, un docente universitario cerca di dimostrare che le manifestazioni inspiegabili che hanno per protagonista una giovane non siano causate da uno spirito maligno che la possiede ma dallo scatenamento della sua furente e incontrollabile energia psichica. Per provare questo e per cercare di catturare l'energia negativa e liberare la giovane, si rinchiude in una villa isolata, aiutato da due assistenti e da un cineoperatore.
John Pogue, di solito onesto sceneggiatore, affida la germinazione della tensione al filtro delle immagini del cineoperatore chiamato dallo spregiudicato scienziato per testimoniare l'intero esperimento. Déjà vu. Ancora una volta found footage, escamotage che ai tempi di The Blair Witch Project poteva risultare misterioso e inquietante ma che dopo essersi trasformato in una sorta di sottogenere attraverso il quale esibire affettazione stilistica (travestita da sciatta immediatezza) e tendenzioso (iper)realismo, puzza sistematicamente di facile scappatoia. Al di là di incongruenze fin troppo evidenti (le immagini in 16 mm del cineoperatore s'interrompono improvvisamente nella colluttazione finale con il docente e si raccordano con quelle che chiameremmo, se volessimo fare i raffinati, dell'istanza narrante - eppure il cineoperatore, nell'inquadratura finale, sostiene che la testimonianza sia lì, dentro la cinepresa), il found footage, con il suo occhio soggettivo teso a scrutare lo spazio e rincorrere gli elementi, cerca di produrre una particolare maieutica del terrore in cui immagini rapide e convulse, con movimenti repentini, zoomate e messe a fuoco progressive, sfruttano la penombra, la carenza di definizione e il mancato ancoraggio in caso di improvvisi rumori fuoricampo per creare un'inquietudine che è essenzialmente effettistica. Frutto dell'entropia, non di una reale costruzione drammatica. Puramente estemporanea, mai realmente perturbante. E sicuramente, vista la proliferazione di sequenze pressoché simili da un film all'altro, ottusamente convenzionale. Le origini del male non fa eccezione: l'acme si raggiunge all'emergere improvviso di urla aggrovigliate e lancinanti. La cinepresa si muove istericamente, inseguendo un punto che chiarisca il motivo dell'agitazione, sapendo benissimo che il segreto risiede nel mancarlo, il punto. Inseguirlo e mancarlo, ripetutamente, perché la tensione sta solo nella rincorsa, in una determinazione che deve giungere a compimento il più tardi possibile per non rivelare la banalità del male (e della sua inconsistente costruzione).
La prevedibilità della pellicola che Pogue ha anche sceneggiato (insieme a Craig Rosenberg e Oren Moverman) è evidente inoltre nella già citata abbondanza di cliché del genere, che come detto forniscono il sale alla sua stessa esistenza ma che, come tutti i piatti che puntano a essere troppo sofisticati, rischia di risultare nauseante. La possessione demoniaca, l'apparente innocenza della vittima, il sigillo ematico del demonio impresso sulla carne, lo scetticismo iniziale che diventa amara realtà oltre il punto di non ritorno, l'isolamento rispetto al mondo, il mad doctor, addirittura le bamboline scalpate nei furenti accessi o appese senza un particolare motivo sono il segno di un pot-pourri che punta a travestirsi in competente contributo antologico. Dispiace che il marchio Hammer tenti di fornire lustro nei crediti del film e dispiace anche per l'evocazione improvvisa di un antico demone adorato dai Sumeri, stretto parente del Pazuzu cui gli amanti del genere sono da sempre affezionati, nonostante le nefandezze compiute a danno della piccola Regan.
Nascosto in una tenuta appena fuori Londra, il professor Coupland, aiutato da un gruppo di studenti, conduce un “esperimento” su Jane Harper, una ragazzina che cela segreti inconfessabili. I ricercatori finiranno col risvegliare forze oscure più terrificanti di quanto avrebbero mai potuto immaginare.