Poco prima dell’alba una giovane ragazza si risveglia in riva al mare coperta di pochi veli. Ha lo sguardo perso e la natura circostante sembra essere la sola regina. Intorno a lei non c’è alcuna forma di vita umana e l’unica cosa da cui si fa condurre sono le macerie del (suo) tempo.
Fin dai primi momenti di Lumina di Samuele Sestieri, in cui la giovane protagonista pare trovarsi su un confine tra il sonno e la veglia, persa in uno stato confuso e disorientato, siamo calati nella vita di una persona. La ragazza non proferisce quasi mai parola; a comunicare sono i primi piani ravvicinati del suo volto alieno e il suo corpo, a cui la macchina da presa si avvicina in maniera circospetta, concedendogli spazio.
La giovane attraversa case abbandonate all’indomani di un evento catastrofico - anche se non ci viene mai detto chiaramente cosa sia successo - nei cui anfratti e spazi angusti possono trovarsi i resti ancora “caldi” e pieni di vita (un album di fotografie, un giradischi, uno smartphone...) di un passato che sopravvive e trae linfa da uno sguardo e una sensorialità primigenia e pura.
L’invito di Sestieri agli spettatori che guardano Lumina e decidono di abitarne la complessità e i contraccolpi emotivi, seguendo le molteplici vie e diramazioni del suo sguardo, è di innamorarsi. Innamorarsi della visione come fa la protagonista, quando si imbatte in uno dei tanti oggetti-attivatori di memoria che costellano le superfici del film.
In Lumina la memoria passa per la percezione corporea e tattile, ma soprattutto visiva, delle cose: sono infatti gli oggetti che rivivono letteralmente nelle mani della protagonista a suscitare qualcosa. Sestieri e il cosceneggiatore Pietro Masciullo, creando un contrappunto mirabile tra la desolazione dei paesaggi e la dolcezza del ricordo, costruiscono una macchina del tempo: Lumina è un susseguirsi di passaggi di soglia tra tempi e mondi diversi, con i frammenti di vita a testimoniare la veridicità e l’esattezza dei transiti.
Spettatrice come noi di un’altra vita - quella che vede scorrere, a puntate, attraverso un album di fotografie o lo schermo di uno smartphone - la protagonista nel corso del film scopre sé stessa: ritrova a intermittenze l’amore, l’affetto, il sesso. E in questo graduale processo di disvelamento, il ritmo della narrazione è lento e nulla viene tralasciato.
Una donna misteriosa si risveglia su una spiaggia deserta. Vaga tra ruderi e macerie, percependo la memoria degli oggetti. Come una fonte di energia è in grado di riattivare dispositivi tecnologici spenti da tempo. In una città fantasma la donna accede all'archivio digitale dello smartphone appartenuto ad un ragazzo chiamato Leonardo. Apprende così il linguaggio delle immagini e dei suoni e, attraverso i video della relazione fra Leonardo e la sua fidanzata, conosce l'amore.