Un potente costruttore milanese viene trovato morto in un lago di sangue, lasciando intuire una scia notturna di vizi, alcol e droga. La moglie (Sandra Ceccarelli) mente alla polizia, cercando di coprire una vergogna personale più che depistare le indagini. Il caso, per le potenti conoscenze del morto, è affidato d’ufficio allo stanco ispettore Monaco (Silvio Orlando), da anni piegato da una precoce vedovanza e del tutto disabituato a un’operatività, anche affettiva e umana, sul campo.
Stanco, disilluso, al limite della catatonia, non riesce neanche a gestire una figlia ribelle (l’esordiente Alice Raffaelli) che, la notte dell’omicidio, viene ritrovata mentre spara con alcuni amici a delle bottiglie vuote con la pistola d’ordinanza del padre. Il suo allievo e collaboratore Levi (Giuseppe Battiston) è convinto della colpevolezza della moglie tradita, Monaco si interroga ma sembra volersi negare le ovvie – ingestibili – conclusioni a cui le sue ricerche portano: un giro di sesso minorile e di uso spregiudicato del potere (economico, sociale, maschile) che l’uomo non riesce ad accettare e metabolizzare.
La Milano raccontata da Bruno Oliviero – documentarista alla sua opera prima di finzione – è un laido nido di vipere, dove la corruzione morale ha devastato le fondamenta marcescenti di una società ormai persa. Lo sguardo dell’autore, distaccato e preciso, tinteggia un mondo in cui la depravazione si è ormai trasformata in un diffuso e conclamato (dis)equilibrio di forze capaci di annullare le responsabilità individuali. Le colpe generazionali, e in primo luogo i rapporti padri/figli(e), mostrano un fallimento assodato, su cui forse è troppo tardi intervenire.
La scelta del genere puro – un noir che mantiene le sue tinte desaturate e notturne anche in pieno giorno – è per Oliviero una linea stilistica coraggiosa, che a tratti sembra però essere narcotizzata dallo sguardo entomologico dell’autore. L’investigazione, infatti, si piega troppo spesso alla pulsione della ricognizione asettica sulla febbrile disintegrazione di un mondo, smarrendo così il senso del ritmo e della suspence – per quanto moralmente coinvolgente – del racconto criminale. La sensazione è che una maggiore concentrazione sulla narrazione, nel senso più elementare della crime literature, avrebbe giovato a un’opera in cui l’occhio puntuale e sistematico del regista rischia di togliere fiato e spazio alla storia, che risulta l’elemento meno convincente e più prevedibile di un film di astratta e orgogliosa originalità.
Milano, la notte. L’ispettore Monaco fa svogliatamente il suo lavoro. Sommerso dalle scartoffie è costretto a riemergere dal suo indolente torpore quando si trova ad affrontare un caso di omicidio in cui sembra coinvolta in qualche modo anche Linda, sua figlia. Scoprirà che le cose non sono mai come sembrano e, attraversando una Milano decadente e oscura in cui trovano spazio insospettabili situazioni, riuscirà a rimettersi in contatto con la realtà e a riappropriarsi della propria esistenza.