Nelyubov - Loveless, ovvero “privo di amore”, espressione che nel film ha un doppio significato. È senza amore innanzitutto il protagonista, un bambino, che pure scompare dal racconto dopo una manciata di sequenze, giusto il tempo di esprimere il suo dolore per la separazione dei genitori, i quali senza tanti complimenti parlano davanti a lui delle nuove, rispettive vite di coppia che li aspettano dopo la rottura.
Al centro del film rimane comunque la sua sparizione, improvvisa, misteriosa e, per i genitori, fastidiosa, visto che interrompe lo slancio con cui progettano i rispettivi futuri. A riprova che l’evento genera in loro più irritazione che preoccupazione, le ricerche vengono affidate a una sorta di agenzia esterna, specializzata nel recupero di persone scomparse. In questo modo, il nucleo potenzialmente melodrammatico del film – l’apprensione dei genitori per un figlio che non è tornato a casa – viene disinnescato dall’approccio alla questione dei due adulti, che continuano a frequentare i nuovi partner e avere in testa la propria vita futura.
Ma senza amore, in una valenza ora positiva del termine, è anche lo sguardo del regista su questo mondo di sfacelo morale, dominato dall’egoismo e dall’utilitarismo. Abbandonati le atmosfere malinconiche e i tempi morti del precedente Leviathan, Zvyagintsev questa volta gira con crudele essenzialità, riempiendo i vuoti del melodramma con una messa in scena di gelida eloquenza, dominata da piani sequenza e riprese fisse che fotografano impietosamente la deriva morale dei protagonisti. La sequenza ambientata in un obitorio rappresenta, sotto questo punto di vista, il momento più alto del film, per la capacità di registrare con toni impassibili e severi una miseria esistenziale che finalmente rompe gli argini dell’interesse personale.
Loveless però non è un film di pentimento e ravvedimento, anche in questo sta la sua grandezza. Il finale racconta infatti un agghiacciante ritorno alla normalità: la falla morale apertasi nei personaggi si richiude rapidamente, i riti della quotidianità prendono nuovamente il sopravvento. Nel frattempo il regista ha disseminato le ultime sequenze di piccoli dettagli che danno alla vicenda un significato politico: la famiglia lacerata come la Grande Madre Russia, il figlio come uno stato interno che prova disperatamente a segnalare la propria esistenza.
Qualcuno è rimasto deluso e infastidito da questo finale, che esplicita in modo forse eccessivo la dimensione metaforica del racconto. A me invece sembra importante che Zvyagintsev, al momento di tirare le fila, raccordi in modo inequivocabile la dimensione politica e quella individuale, tracciando, tra l’una e l’altra, un nesso forte. Facendo dell’assenza di solidarietà e responsabilità malesseri endemici che corrodono il genere umano dall’interno, su tutti i fronti.
Zhenya e Boris stanno per separarsi. Non si tratta però di una separazione pacifica, carica com'è di rancori, risentimenti e recriminazioni. Entrambi hanno già un nuovo partner e sono impazienti di voltare pagina, di iniziare una nuova fase della loro vita. C'è però un ostacolo difficile da superare: il futuro di Alyosha, il loro figlio dodicenne, che nessuno dei due ha mai veramente amato. Il bambino un giorno scompare.