CINEFORUM / 8NS

La linea dell’orizzonte

Quando siamo in una sala cinematografica alziamo la testa. Davanti alla televisione la abbassiamo: lo diceva Godard (ricorda Roberto Chiesi in uno degli articoli successivi), magari proprio quando partecipava, caustico ospite, a un programma televisivo. Nel nuovo film di Spielberg, alza la testa il piccolo Sammy Fabelman, incantato e terrorizzato davanti allo schermo che proietta le meraviglie e i disastri del circo messo in scena da DeMille; e la alza ancora di più quando, da adulto, se ne va verso il futuro, dopo l’incontro con il mito John Ford: per essere interessante, la linea dell’orizzonte non deve mai essere in mezzo all’inquadratura, ma in basso o in alto.

Alzavano la testa in La La Land Emma Stone e Ryan Gosling, replicando quello che avveniva sullo schermo nel planetario di Gioventù bruciata; come Mia Farrow che s’infilava dentro la storia della Rosa purpurea del Cairo, o i carcerati di Shawshank che ammiravano Gilda e i Dimenticati di Sturges davanti a Topolino, o i ragazzini di Nuovo Cinema Paradiso, Il lungo giorno finisce, Hugo Cabret.

E alzava la testa, guardandosi sullo schermo, la Sharon Tate di Margot Robbie, uccisa dalla Storia e salvata da Quentin Tarantino. Si guarda ancora, Margot Robbie, in Babylon (in uscita a gennaio), il nuovo film di Damien Chazelle, un altro autore innamorato del cinema, come Spielberg, Scorsese, Allen..., che ricostruisce l’anarchia sfrenata, creativa e distruttiva, della Hollywood (appunto Babilonia) più o meno dal 1925 al 1935, quando ancora non c’erano Codici e Correttezze, e tutto era possibile, le peggiori perversioni e le più mirabolanti invenzioni. Alla fine, con un salto in avanti negli anni 50, Chazelle manda il suo protagonista al cinema, a vedere Cantando sotto la pioggia. E Manny, rivedendo sullo schermo i suoi anni babilonesi, piange, mentre un convulso montaggio ci mostra spezzoni di quello che ha vissuto e di quello che noi abbiamo visto, avanti, freneticamente, fino a oggi, fino agli avatar, fino al cinema prodotto direttamente dal cervello preconizzato da Spielberg, fino a che un unico colore del monoscopio, verde o azzurro, invade completamente lo schermo. Manny piange la fine, non solo dei suoi anni ruggenti. E noi con lui perché, in un film straripante, altalenante e generosissimo, che mescola Baz Luhrmann, Tarantino e i classici dei classici (formidabili le ricostruzioni minuziose dei set e dei ciak), Griffith, DeMille, Dorothy Arzner, Tod Browning, ecc. ecc, mélo, tragedia e commedia, abbiamo assistito alla fine di tutto ciò. Presto, domani, subito. Guardiamo in alto, finché possiamo.