Concorso

Personal Shopper di Olivier Assayas

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Nel cinema di Assayas l'oggetto è sempre stato un tramite, il segno riconoscibile, vuoto eppure profondo, di legami affettivi e familiari. Un dipinto in Fin août, début septembre, un vaso in L'heure d'été, una pagina bianca in L'eau froide. L'arte stessa, fatta di oggetti, di simulacri sempre vivi, mai semplice rimando o citazione - un film di Arnold Fanck, un'esposizione al d'Orsay, i frammenti di una serie anni '20- vive sullo schermo come un mondo a sé, un universo con cui entrare in contatto, un soggetto complesso che instaura un dialogo continuo con i personaggi.

In Sils Maria, di cui Personal Shopper è il film gemello, la naturale evoluzione, Assayas poneva al centro della scena - in termini anche letterali, in quanto scena teatrale - la figura di un'attrice non più giovane messa, Maria, di fronte ai fantasmi del proprio mondo interiore (il tempo, l'arte, la sessualità) e della cultura contemporaneo (la visibilità delle emozioni, l'immaterialità del digitale, l'ossessione per la celebrità), arrivando a trovare nella natura la sintesi perfetta e inquietante del nulla, del vuoto di cui è fatto ogni immaginario. Un serpente di nuvole bellissimo e spaventoso incarnava una forza misteriosa e invisibile, che sullo schermo si faceva, finalmente, visibile.

Era perciò inevitabile - per quanto, ora che lo sappiamo, inatteso - che prima o poi il cinema di Assayas incontrasse faccia a faccia la propria dimensione metafisica e spirituale, declinata in maniera esplicita come racconto di fantasmi. Non più, dunque, un film sui fantasmi, ma di fantasmi.

Personal Shopper è un passo avanti Sils Maria, perché riprende il discorso dall'altra parte dello specchio, trasformando in protagonista, e affidando alla stessa attrice, Kristen Stewart, un personaggio identico a Valentine, l'assistente di Maria nel film precedente: non la donna al centro della scena, ma la sua controparte, la sua ombra, che di nome fa Maureen ed è una personal shopper, una americana a Parigi che cura il guardaroba di una celebre attrice. In Sils Maria Valentine spariva nel nulla alla fine del film, reincarnandosi fisicamente in un'altra assistente e idealmente in Maria, come sua avversaria, suo doppio e nemica. Quel fantasma, quel vuoto, in Personal Shopper sono al centro della stessa scena - sempre al centro, in un film cucito sul corpo della Stewart.

Maureen è una donna a metà a cui manca una controparte, una figura che vive all'ombra della sua capa e al tempo stesso convive con la mancanza del fratello gemello morto mesi prima. Maureen dice di essere una medium, aspetta un segno del fratello dall'aldilà, e non può fare altro che dialogare con il vuoto, con gli oggetti di cui è fatta la sua vita. 

Attraverso lo sguardo di Maureen è il mondo intero di Assayas a farsi oggetto e tramite. Lo spazio affettivo della casa di L'heure d'été, ad esempio, nella prima, meravigliosa sequenza di Personal Shopper diventa uno spazio spaventoso, memoria di una presenza che si fa minaccia. La grana spessa, materiale e ombrosa della pellicola dona concretezza alle presenze immateriali del film, che ovviamente hanno come punta massima lo spirito da cui Maureen è visitata (che ha una forma allungata e bianca simile al serpente di Maloja in Sils Maria), ma in realtà sono ovunque nella sua vita e, in generale, nell'immaginario contemporaneo. L'immaterialità di un dialogo via sms con uno sconosciuto, forse un vivo, forse un morto, forse un assassino; l'immaterialità del desiderio veicolato dai vestiti e dai gioielli scelti da Maureen; l'immaterialità del fascino suscitato dai quadri astratti della pittrice svedese Hilma af Kint o dalle sedute spiritiche di Victor Hugo di cui si parla nel film e che ovviamente si vedono su libri e su video di smartphone (in un meraviglioso, finto film anni '60 in streaming su YouTube), come se Assayas aprisse finestre su altri mondi così vivi e pieni da perdere la distinzione fra vero e falso.

La stessa Kristen Stewart, inespressiva ma elastica, spigolosa, quasi asessuata, nel corso del film viene letteralmente messa a nudo e vestita in scena, prendendo vita passo dopo passo come la donna del proprio desiderio, l'avversaria che detesta e teme. Vestita con abiti d'alta moda che la chiudono dentro forme geometriche, che la sezionano come una mannequin su un disegno di carta, la Stewart ha la stessa potenza figurativa di Maggie Cheung in Irma Vep, un corpo di bellezza astratta che è la pura proiezione di un immaginario.

Il mondo di Assayas, da sempre così prosaico, così fisico, con la macchina da presa che insegue, precede, abbraccia un corpo mai isolato ma al contrario circondato dal respiro del reale, dallo spessore dell'aria, della luce, delle ombre, in Personal Shopper dialoga finalmente con il suo versante astratto, assumendone la purezza figurativa. I dipinti della af Klint, in questo senso sono la chiave del film, non un particolare intellettualistico, ma oggetti che si fanno medium, tramite di un dialogo con l'invisibile. E la stessa attesa del fratello da parte di Maureen, è la semplice attesa di una voce che spezzi il silenzio e il mistero del reale.

Trattando realtà e immaginazione sullo stesso piano del dubbio, come ad esempio nella duplice scena del probabile incontro di Maureen con il fantasma, mostrata una prima volta con semplici spazi vuoti e una seconda con un personaggio a riempire quel vuoto, Assayas fa nascere, quasi fiorire il mistero dentro le immagini. E fa paura, mette l'ansia, trova la meraviglia. La pellicola, supporto vero, materiale, non illusorio come il digitale, rivela la dimensione nascosta della luce, e la follia di Maureen, la sua impossibile elaborazione del lutto, trova nella realtà delle immagini un versante astratto, assurdo forse, con il quale provare a instaurare in dialogo.

"Lewis, ci sei?", chiede la donna al fratello. E poi, prima di guardare in camera, aggiunge, chiudendo: "O forse ci sono solo io?" Il cinema, forse l'arte tutta, molto probabilmente vivono nel silenzio tra quelle due domande.