Non è obbligatorio, ma un minimo di verosimiglianza, quando si mette in scena un period drama, indipendentemente dal registro che si intende adottare, non guasterebbe. Soprattutto se si vuole raccontare una storia da una prospettiva mai adottata, o meglio un argomento che un tempo non era proprio narrabile, tabù, e nella maggior parte dei casi rimosso. Soprattutto se dal primissimo frame del film la grana, i pelucchi, le graffiature, rivelano l’uso della pellicola, rivendicano un’ontologia piuttosto precisa dell’immagine. Soprattutto, ancora, se la voce over, che recita il diario personale della protagonista, elenca i motivi della fatica di vivere l’inverno, alla metà del XIX secolo, in una casa di allevatori annidata in un angolo remoto degli Appalachi, mentre nelle immagini vediamo una giovane donna, Abigail (Katherine Waterston), casalinga d’altri tempi rivisitata, in abiti chiari e leggeri, non esattamente plausibili, al lavoro senza scompigliarsi troppo in una cucina che ha tutte le porte spalancate sul resto dell’abitazione, dove il freddo, il fumo, e le preoccupazioni economiche possono giusto essere immaginati con un certo grado di suspension of disbelief, e le patate lesse che serviranno da cena a lei e al marito Dyer (Casey Affleck, che è anche tra i produttori con, tra gli altri, Christine Vachon) vengono consumate con la compostezza di gesti di una cena al Plaza Hotel. Questi e altri dettagli, minando appunto la verosimiglianza del microcosmo narrato, rischiano di appiattire il senso della produzione.
Tratto dal racconto omonimo di Jim Shepard, The World to Come di Mona Fastvold – compagna di Brady Corbet e sceneggiatrice dei suoi L’infanzia di un capo e Vox Lux – ci vorrebbe portare nella vita difficile di due nuclei familiari sui monti della East Coast (ricostruiti in Romania), per assistere allo sbocciare di un’amicizia e di un sentimento inatteso tra le due mogli, Abigail e Tally (Vanessa Kirby, il marito di questa, Finney è interpretato da Christopher Abbott), oltre che di un risveglio delle loro coscienze individuali. Il racconto, del 2017, aveva una struttura diaristica e quindi un punto di vista preciso dettato dalla propria limitazione.
Certo, la focalizzazione di un’opera letteraria può anche essere considerata non vincolante in sede di sceneggiatura, e nel lavoro di riscrittura, lo stesso Shepard, insieme a Ron Hansen (autore di L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford di Andrew Dominik), sembrerebbe averla accantonata. Ma forse è la mano registica non esattamente leggera della Fastvold, una direzione d’attori non proprio sottile a frenare il potenziale di questa storia: una su tutte, la seduttività penetrante dello sguardo della Kirby è esagerata perfino per gli standard contemporanei, e d’altronde troppo contemporanee, idealizzate e finanche angelicate sono le due protagoniste, in un contesto che dovrebbe essere ostile non solo al loro amore, e che tale si rivela ogni volta che ci si concentra su un’altra housewife, su un’altra casa.
È il rimescolare le carte lasciando intendere che la relazione tra le due donne si sia consumata su un piano carnale, mentre nel racconto originale non si va oltre a un bacio lasciato in sospeso e al fatto di tenersi la mano mentre si conversa, è l’abbandono della lente deformante della soggettività (che paradossalmente avrebbe giustificato anche le idealizzazioni di cui sopra, e enfatizzato l’unica scena davvero bella del film) a spegnere il potenziale drammatico (e melodrammatico) di The World to Come, a rendere meno “vera” la storia di Abigail e Tally, a renderla la proiezione su una realtà storicamente determinata i cui contorni non sono che accennati, di uno sguardo “viziato” proprio dalle conquiste sociali, dalla diversa consapevolezza di quel “mondo a venire” evocato nel titolo.
Ma forse – e l’executive Vachon, che ha lavorato da sempre con Todd Haynes, lo dovrebbe sapere – non è così che si fa un favore alla storia, né quella con la minuscola né quella con la maiuscola.