Qualcuno se lo ricorda ancora: 50 anni fa, il 6 marzo 1975 uscì un film che rimase praticamente un unicum nella pur gloriosa e multiforme carriera di Adriano Celentano.
Con 43 film come attore, tra cui molti boom al botteghino, (e 5 come regista), non dovremmo certo parlare così. Eppure Yuppy Du (è di “esso” che stiamo parlando) fu un colpo straordinario, un'opera d'arte irripetibile, una commedia surreale e stralunata perfettamente in linea con la mise pubblica del divo/personaggio, per un exploit a 360 gradi mai più replicato.
Tanto che i francesi lo vollero in concorso al Festival di Cannes dove si guadagnò se non altro consensi e il favore di molta critica internazionale (tra cui l'entusiasta inviato del Los Angeles Time). Ci fu persino chi, di fronte a tale splendida naiveté, a tale effervescenza di idee, di gag, di audacie tecniche e narrative, gli preconizzò una apoteosi di Autore/poeta/comico su schermo che poi non si verificò. Di sicuro Gian Luigi Rondi un po' esagerò scrivendo “È nato un nuovo Charlie Chaplin”, perché lui continuò a rifugiarsi in commedie popolari recitate un po' stravaccando (era un incubo per registi e produttori) o in sue produzioni mega kitsch, dove il suo geniaccio inciampò, purtroppo poco sorvegliato. Infatti le sue regie successive, Geppo il Folle (1978) e Joan Lui (1985), si intorcinarono su se stesse nel brodo del cattivo gusto, anche se qualche critico celentanato provò comunque a difenderle.
Ma Yuppi Du... mamma mia che sorpresa! Che meraviglia! Che godimento per gli spettatori di ogni ceto e livello culturale! Anche perché Celentano lì osò l'inosabile: un musical (!!!), rarità per il cinema italiano, che oltretutto parla di sottoproletari cui manca tutto tranne la felicità (ma è lontano da Zavattini o Capra), con una radicale contrapposizione, estetica e morale, tra i coloratissimi poveracci e la seriosità uniformante dei borghesi o addirittura la “facce di calcestruzzo” dei milanesi, tutti grigi e stipati.
Davvero. In anni di contrapposizioni politiche e sociali anche violente o almeno nette e non schivabili, lui si inventò in contropiede una favola (triste) ecologica, così amara e acre a un certo punto che solo la sua capacità di ribaltare il senso della scena potè rendere funambolica, persino comica anche nei momenti drammatici o tragici.
Il barcarolo Felice Della Pietà (!!!) ha risposato in seconde nozze Adelaide (Claudia Mori), 6 anni dopo la scomparsa nel fiume della prima moglie, Silvia (Charlotte Rampling: “È stato lui a farmi scoprire che potevo anche essere un'attrice brillante, comica. Ed è riuscito persino a insegnarmi a ballare!”). In realtà la donna non è morta, è fuggita a Milano dove vive ricca, sciura e accasata. Un giorno ritorna, si professa ancora legata a Felice, ma certo non sarà facile. E quando la piccola figlia Monica (Rosita Celentano, con lo pseudonimo di Jon Lei), manifesta la volontà di restare tra gli agi, a Felice non resta che “venderla” alla madre e al compagno, un tanto di milioni al chilo (totale: 90 milioni divisi in due). D'altronde “chi lo può sapere meglio di un povero cosa sono i soldi?”.
Gag e battute a pioggia (tra cui quella, oggi ostica da girare e digerire, di un corpulento nero che chiede al bar, guardandolo fisso, “un bianchino” e lui al suo fianco che replica: “a me un Negroni”), una costruzione tecnica qua e là geniale, con Venezia inventata usando anche un po' di Ticino vicino a Pavia, fotografia spettacolare e antirealista di Alfio Contini, scene di Giantito Burchiellaro, costumi di Elena Mannini. Sandro Rezoagli su L'Avvenire affermerà, impegnativamente: “Si va da una Venezia fotografata alla maniera di Tinto Brass e montata alla maniera di Jodorowsky a certe cadenze brechtiane nei siparietti musicali o minnelliane nelle sequenze musicali d'apertura“. Jack La Cayenne poi meriterebbe un premio a parte per un suo numero di ballo e contorsionismo in “Silvia non è morta è ritornata dal canal”.
Conclusioni: “avevo 100 mila lire in banca. Alla fine costò un miliardo e settecento milioni”. Tra gli aspetti positivi, uno dei maggiori incassi della stagione e una colonna sonora stravenduta (tra l'altro l'unico Premio che ottenne il film, un Nastro d'Argento). Peraltro, aggiungiamoci che con Yuppi Du si attuò la prima operazione di merchandising progettata in Italia, con la t-shirt con il molleggiato di spalle a braccia quasi alte, tra una crocefissione e una V come le ali di un uccello, che divenne un must nei negozi e nei mercati.