“Definisci bizzarro…” chiede Menville in La morte ti fa bella.
Robert Zemeckis ci fa sempre entrare in un mondo la cui unica regola sembra essere quella dell’infrazione delle regole e della cancellazione dei confini conosciuti. I mondi e i sottomondi da lui presentati diventano via via fluttuanti e polivalenti di sfumature e significati a partire da una precisa nettezza di contorni e forme. Sono il realismo e i suoi dettagli a fare da apripista al racconto fantastico. Dalle oscillazioni temporali di McFly e Doc alle parallele ricostruzioni di un mito e del potere, sconfessato e taciuto, della favola – e quindi della Narrazione – in Polar Express e delle infinite mitopoiesi letterarie da cui Zemeckis spesso parte, passando per i ribaltamenti di senso (e di corpi) di La morte ti fa bella.
Adattando il classico di Roald Dahl e il cult del 1990 Chi ha paura delle streghe? di Nicolas Roeg a certe coordinate socio-culturali contemporanee, in Le streghe Zemeckis ritorna sulle implicazioni esistenziali del racconto inteso come fuga e salvezza: non per caso il film si apre con una sala buia e un pubblico di bambini davanti a cui si dispiega la storia che tutti conosciamo.
Le streghe è un bildungsroman cinematografico come potevano esserlo Ritorno al futuro o Polar Express, con tutte le peripezie e andirivieni che avrebbero permesso ai protagonisti di acquisire una maturata consapevolezza delle cose. Che sia quella di un bambino che riesce finalmente ad accogliere la caleidoscopica sfera dell’immaginazione - decidendo di credere e illudersi - o quella di un ragazzino sfregiato da un trauma che, inconsapevolmente, rinasce attraversandone incubi e visioni.
La strega è l’apparizione del perturbante che irrompe nella vita del protagonista, prima in quella della nonna e poi nella sua, turbandone profondamente la mente, senza però minare le basi della realtà. Una ridefinizione, quella di Le streghe, che riguarda solo il soggetto e che sarà funzionale come detto pocanzi a una sua ricreazione partendo dal racconto in prima persona: fin dall’inizio, infatti, è il protagonista stesso a narrare la sua storia in voice over, quella di Chris Rock. Seguendo quest’impostazione, Zemeckis, coadiuvato in fase di sceneggiatura da Kenya Barris e Guillermo Del Toro, decide di ambientare la storia nell’Alabama di fine anni Sessanta facendo di Luke un bambino afroamericano e della nonna (Octavia Spencer) una simpaticissima sciamana provvista di ogni tipo di unguento o erba curativa. Le premesse per costruire una disamina interessante c’erano tutte, ma Zemeckis si limita a mostrare: non problematizza né sviscera (forse volontariamente, come Ryan Murphy in Hollywood…) i motivi di questo cambio di rotta intercettando solo a livello superficiale e formale le dinamiche del presente cui si rivolge.
Non c’è, inoltre, nel film di Zemeckis, una riflessione che riguarda le modalità di emersione del trauma di cui parlavamo pocanzi e dei suoi risvolti concreti, e che nella versione di Roeg si nutrivano di una componente d’ineffabilità e mistero più viscerali e macabre. In Chi ha paura delle streghe? il terrore e la paura infantili del "mostro" si materializzavano, oltre che nelle particolari scelte di stile e genere che ne connotavano la dimensione orrorifica, nel gelo evocativo della Gran Bretagna degli anni Ottanta e nel modo in cui l’universo stregonesco viene raccontato. Impietoso e glaciale, da un lato, e macchiettistico, nel caso del film di Le streghe.
Ma è soprattutto nella plasticità rivoltante dei corpi delle streghe e nei loro poteri metamorfici sui bambini che i due film differiscono. Su quella fisiognomica che Zemeckis, sebbene avesse in passato lavorato sulla corporeità e sulle sue s-composizioni, prova a ricreare con esiti non proprio felici - nella figura di Anne Hathaway che prende il posto di Angelica Huston – e con una CGI fin troppo invasiva e definita.
Nell'Alabama degli anni sessanta, un ragazzino orfano si imbatte in una conferenza di streghe, mentre si trova con sua nonna in un hotel, dove viene trasformato in un topo dalla Grande Strega Suprema.