They Shall Not Grow Old - Per sempre giovani

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Le rievocazioni della Prima guerra mondiale, più di cent’anni dopo la sua fine, pare siano anche una sorta di eredità di affetti familiare. Così è stato per Sam Mendes, che si è ispirato alle storie del nonno Alfred per 1917, così è per Peter Jackson, al cui nonno combattente William They Shall Not Grow Old è dedicato.

Ma se Mendes ne ha fatto un’impressionante epopea adrenalinica che pare un videogioco senza controller, Jackson ha realizzato un percorso consequenziale su un’esperienza collettiva, ottenuto dopo un lavoro di ricerca accuratissimo, selezionando il materiale da oltre 100 ore del girato inedito conservato negli archivi dell’Imperial War Museum e organizzando la narrazione traendola da circa 600 ore di interviste con 200 sopravvissuti al massacro della Grande guerra.

Ed è proprio la componente verbale ad apparire la parte preponderante, regolando la struttura della narrazione e rendendo le immagini quasi un corollario di lusso rispetto a un flusso continuo e inarrestabile di vere esperienze, ricordi, rievocazioni, aneddoti, confessioni, paure e delusioni, interpretato da un articolato nucleo di attori dotato di vari accenti e inflessioni. Tale flusso illustra tutta la parabola compiuta da ogni singolo soldato e, fondendosi con le altre, si tramuta in esperienza condivisa, in cui - in rigorosa sequenza - la notizia dello scoppio della guerra, l’arruolamento dei giovani britannici (alcuni dei quali ancora ampiamente minorenni), le marce e gli addestramenti, il trasferimento in Francia e poi in prima linea, la vita di trincea, i momenti di attesa, gli ordini e gli attacchi verso il fronte nemico, l’eventualità effettiva della morte e il contatto con i Tedeschi, come vittime o come prigionieri, e poi la notizia della fine delle ostilità e il complicato reinserimento nella vita quotidiana lasciata anni prima, rappresentano un percorso obbligato che attraversa ed esaurisce l’intero arco del conflitto.

Poco importa che si tratti di una semplificazione narrativa, perché, concentrandosi su fanteria e artiglieria, il film di fatto ignora la guerra per mare e soprattutto il romanticismo degli scontri aerei: l’intenzione di Jackson non è ovviamente la completezza storica, benché vi tenda per mole di ricerca d’archivio, quanto quello di rendere avventuroso e incalzante il valore delle testimonianze.

È qui che Jackson opera lo strappo più vistoso. Il patchwork delle voci narranti inizialmente è sovrapposto a un riquadro di filmati d’archivio come tendenza documentaristica impone. Una volta raggiunto il fronte, si assiste a una prodigiosa trasformazione: la solita scala di grigi spesso sbiaditi ormai sedimentatasi nell’immaginario storico prende vita tramite una sorprendente colorazione digitale, rallentando al contempo la velocità di scorrimento dei filmati originali per eliminare gli scatti e la velocità dei corpi altrimenti grottesca.

Nella magnificenza di queste scene, Jackson inserisce perfino la verosimiglianza di un doppiaggio realizzato studiando i labiali dei singoli soldati rivolti alla cinepresa, aggiungendovi voci, risate, rumori, spari ed esplosioni. Certo, si può discutere della correttezza filologica di una tale operazione (e qualcuno lo ha fatto), si può anche riflettere sul criterio di realismo, laddove in alcune recensioni del film si critica la trasgressione di Jackson rispetto a una pretesa realtà dell’immagine, quando più che di etica dello sfruttamento o di presunto realismo si dovrebbe ammettere più che altro una sfibrata consuetudine nel ritenere solo un ristretto numero di immagini (sbiadite, sgranate, incerte, rigorosamente in bianco e nero) come attendibile documento storico.

Di fatto, Jackson spettacolarizza la materia narrata attraverso il prodigio della tecnica con il preciso scopo di attualizzarla, senza per questo oltraggiarne l’intrinseca natura. Molto pragmaticamente, punta a trasformare l’immaginario bellico in contemporaneo, per renderlo ― a distanza di oltre un secolo ― vivo e pulsante, convertendo la freddezza dell’immagine d’archivio, la sua ormai netta separazione rispetto a un pubblico diversamente interessato, in un epos aggiornato e quindi plausibile, nel quale si affacciano cromatismi mai visti (l’azzurro del cielo, il verde intenso dei prati francesi) che entrano in palese contrasto con la tragedia espressa dalle immagini. Non è negromanzia, quella di Jackson, ma è solo il tentativo di proporre una nuova chiave d’accesso storica, adescando le nuove generazioni con la qualità della confezione e fornendo un messaggio pacifista che nel finale, con una battuta fulminante espressa da una delle centinaia di voci anonime protagoniste del film, dà ragione della sostanziale inutilità di gran parte dell’orrore, del sangue e della distruzione mostrati nella precedente ora e mezza.

They Shall Not Grow Old – Per sempre giovani
Gb, Nuova Zelanda, 2018, 99'
Titolo originale:
They Shall Not Grow Old
Regia:

Realizzato nel centenario dalla fine della Prima guerra mondiale, il film ripercorre le fasi del conflitto attraverso le immagini dell'archivio dei Musei Imperiali inglesi della Guerra (appositamente restaurate e colorizzate per l'occasione) e le registrazioni audio della BBC. Una testimonianza di chi quella guerra l'ha combattuta e ne racconta l'orrore e la violenza.

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