Il pubblico del Bergamo Film Meeting, che come sempre decide l’assegnazione dei premi del concorso lungometraggi, ha decretato la vittoria a mani basse del dramma finlandese Silmäterä (The Princess of Egypt) di Jan Forsström, sceneggiatore all’esordio come regista.
Il titolo originale (letteralmente "l’allieva") si focalizza su una delle due separazioni che preoccupano la giovane protagonista Marja: l’inserimento della figlia Julia a scuola. Il titolo internazionale sposta invece l’accento su un tema-chiave del film, che è poi quello che affabula, in senso letterale, il pubblico: in un appartamento che è allo stesso tempo playground, labirinto e trappola, Marja spaccia alla bambina la narrazione distorta delle sue origini e il perché della sua pelle olivastra.
In un contesto etnicamente omogeneo come quello finlandese, la differente intonazione del colore della pelle e i capelli scuri di Julia balzano subito all’occhio, e anche per questo la madre teme episodi di emarginazione o bullismo. Tenere in piedi quel racconto diventa però ancora più urgente e difficile quando, in maniera fortuita, entra in scena Kamaran, un brillante imprenditore curdo, vecchia conoscenza di Marja, che potrebbe essere il padre della bambina.
Forsström non è certo originalissimo, e la storia è parzialmente ispirata a fatti di cronaca, ma si rivela senza dubbio scaltro, sia in fase di scrittura sia nella confezione di questa sua opera prima. Non esplicita immediatamente la situazione psicologica della giovane madre, si mantiene, anzi, piuttosto freddo (ecco, non è Ken Loach), nel definire uno status quo fatto di stress da lavoro notturno (Marja consegna giornali e fin dalla prima sequenza sono evidenziati i risvolti pericolosi) e co-dipendenza vagamente randagia (non infrequente per una madre single).
Uno status quo che viene minato da una serie di “alterità”: la scuola (gli altri bambini, le altre mamme), la nuova vicina Karin, assistente di volo che è rientrata da un matrimonio fallito in Francia (e forse vuole qualcosa in più dell’amicizia), e Kamaran, che viene da un “altrove” culturale ingigantito dalle insicurezze personali e da una xenofobia strisciante.
Una volta saltati gli equilibri iniziali, il regista sembra seguire con uno sguardo vagamente etologico l’emergere in Marja (a cui dà corpo Emmi Parviainen, giovane talento del cinema finnico) di un istinto di protezione, dai risvolti spesso più che ferini, che la conduce ad ipotesi e gesti estremi. Optando però poi per uno scioglimento che è una fin troppo prudente concessione al pubblico.
Il secondo premio, assegnato a Leave to Remain (Permesso di soggiorno) di Bruce Goodison, conferma il penchant dell’audience della competizione bergamasca per i risvolti sociali e di attualità, che prendono forma, in questo caso, in un racconto di disperazione e discriminazione, ma anche speranza, messo in scena con alcuni attori noti e giovani studenti di accademia.
Chiude la terna l’olandese Wolf (Lupo) di Jim Taihuttu, un boxing-movie che è anche percorso in un paese sempre più multiculturale, già discreto successo in patria e pronto per il mercato italiano, dove sarà distribuito da Movies Inspired.