L'ultimo film di Terrence Malick, Song to Song, comincia così:
Una porta che si apre. Una donna e un uomo ai due lati opposti. Lui guardingo, lei titubante, attirata da ciò che sta dall'altra parte.
Nel cinema di Malick la porta è sempre un tramite. In The Tree of Life, nella lunga sequenza finale, eretta in uno spazio bianco e aperto, segna il confine fra la terra e il cielo, l'uomo e Dio. È un varco, che la macchina da presa attraversa per inseguire l'invisibile, l'incontro fra l'uomo e la natura. Song to Song è il risveglio da quel sogno: il ritorno alla realtà materiale, allo scontro fra i corpi, a un uomo e una donna ai due lati di una porta. Malick, però, continua a raccontare e filmare movimenti, a credere in un cinema che attraversa delle soglie.
I corpi che si affrontano, che sbattono, che non varcano soglie, fanno invece di The Master il film speculare a The Tree of Life. Per Anderson non c'è Dio, non c'è luce, non c'è movimento. Ci sono solo uomini e donne; solo (o quasi) interni e primi piani. Ci sono porte, pareti, vetri. Che sono solo porte, pareti, vetri. Nulla passa attraverso nulla.
Anderson va oltre il metaforico, affida al cinema il compito di ricostruire un immaginario dentro la materialità dell'inerte. Perchè il cinema può trovare proprio nell'inerzia del reale un movimento inatteso. E l'immagine realizzare la profondità attraverso l'ampiezza e la doppiezza del quadro. Così:
o così
Nei finali speculari di C'era una volta a New York e Civiltà perduta, James Gray trasforma il varco di una soglia in un'azione visiva e immobile. Un'azione puramente cinematografica, perché racchiusa nei confini del quadro. Il cinema si trasforma, letteralmente, in una sovrapposizione di immagini: un gioco meraviglioso che rischia l'inerzia, la somma zero, ma sfida il vuoto di rappresentazione che fagocita l'immagine contemporanea.
Lo stesso vuoto su cui affaccia l'agente Cooper quando esce dalla loggia nera nella terza stagione di Twin Peaks.
Ed è lo stesso Lynch a ripartire da quel vuoto. Ne cerca la genesi e fa esplodere - letteralmente - il proprio immaginario.
Dove si erano viste immagini simili a quelle della genesi di Bob nell'ottavo episodio di Twin Peaks 3? In Crossroads di Bruce Conner: anno 1975, materiale d'archivio risalente al 25 luglio 1946.
E dove si erano già viste fantasmagorie visive simili a quelle che in Lynch fanno seguito all'esplosione nucleare?
In The Tree of Life.
In entrambi i casi l'esplosione è un atto creativo. Ma c'è uno scarto. Malick usa la tecnica digitale per ipotizzare l'origine della vita; usa dunque l'immagine per sopperire a una mancanza (di sapere, di immaginazione) e fa del cinema un tramite tra uomo e natura. Lynch ricostruisce con il digitale la credibilità storica di un'esplosione nucleare per trovare, dentro la Storia, l'origine di un male endemico, sovrannaturale. E l'immagine, partendo dall'inerzia della realtà, si apre all'impossibile.