Ultimo appuntamento con l'omaggio a Jacques Tati

Jour de fête di Jacques Tati

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Esce oggi l'ultimo dei quattro titoli dell'omaggio a Jacques Tati:  Jour de fête. Dagli archivi di «Cineforum» è uscito fuori queta volta un bell'articolo del 1979 scritto – niente meno – da Davide Ferrario, all'epoca giovane collaboratore della rivista. Ecco alcuni stralci dell'articolo.

«Cineforum» n. 182, marzo 1979

In Giorno di festa si chiariscono – per certi aspetti ancor meglio che nei film successivi – alcune delle fondamentali idee di Tati sul cinema. In una bellissima scena poco dopo l'inizio del film (probabilmente integra) il padrone della fiera – che indossa una tuta e porta un cappellaccio che ricorda quello di cowboy – si pavonega davanti a una ragazza maneggiando una chiave inglese come una pistola e facendo il verso a Tom Mix; questo mentre dal film western che è proiettato lì vicino proviene un dialogo inglese che si sviluppa in contrappunto con la gesticolazione del personaggio (compresi gli abbassamenti di tensione nella corrente elettrica, che trasformano il dialogo in un cupo trascinarsi di suoni, aumentando il contrasto e l'effetto comico della sequenza). Già qui è dato uno degli elementi essenziali della comicità di Tati: i paradossi e gli equivoci originanti dal tentativo di adeguarsi – da parte dei personaggi dei suoi film (e in particolare Hulot) – a un modello di comportamento di massa. Semiologicamente si potrebbe anche parlare di assunzione di un codice e di un lavoro cinematografico sulle implicazioni di questo processo: ma l'ispirazione di Tati è sufficientemente libera da impedire di essere coniugata a un unico modo. È comunque certo che Tati si muove sempre nello spazio che intercorre tra il “quotidiano di massa” e il “quotidiano personale” e fa della società di massa il soggetto della sua rappresentazione, derivandone l'aspetto corale dei suoi film. Non è vincolante il fatto che Hulot (o qui Francois) sia in certo modo il protagonista – lo sguardo di Tati non coincide con quello del suo personaggio: quella di Tati regista è un'occhiata più mobile, policentrica, complessiva. Hulot (1) agisce come puro segno di riconoscimento della dimensione “realistica” nel modo in cui la concepisce Tati (Hulot, infatti, a differenza di François, è più stilizzato ed essenzializzato: ad esempio, non parla); specularmente, poi, la sua caratterizzazione tende all'azzeramento delle qualità, tende a farlo divenire un personaggio neutro (2). L'equilibrio su cui è costruito il personaggio di Tati, in bilico tra funzione e caratterizzazione, gli consente di fare da cartina di tornasole per le reazioni tra l'universo “astratto” dei segni del consumismo e l'universo “concreto” dei desideri degli individui. Di Hulot, del resto, ci si può anche dimenticare: i piani lungo cui fluisce la narrazione dei film di Tati (se narrazione è) sono molteplici (3).

[…]

Probabilmente l'ambientazione paesana non consente ancora a Tati di dispiegare tutte le pontenzialità della sua ispirazione, il cui campo migliore è l'anonimità di massa della metropoli. Indicativa una delle prime sequenze del film, in cui la vecchietta (che già di per sè è una caratterizzazione) mostra uno per uno i personaggi che appariranno nel corso del film: il pittore, il sindaco, il padrone del bar, la ragazza timida, le signorine. Nella inevitabile caratterizzazione della società di campagna anche François è costretto a sostenere una parte già parzialmente fissata. Comunque Tati individua in questo ambiente la situazione che gli consente le maggiori possibilità: il “giorno di festa”, irruzione temporanea dell'elemento esterno ed eccezionale nella quieta vita dei cittadini. La fiera è un po' un fantasma del tempo libero massificato e programmato della città; non a caso cela, dietro ai tradizionali baracconi e alla giostra, il tendone che ospita un divertimento ben sofisticato: il cinema. È abbastanza significativo che in quella che è presumibilmente la festa della padrona l'elemento religioso (anche nelle sue forme esteriori, come la processione) sia del tutto assente e che l'azione si svolga principalmente sulla piazza tra l'osteria e la fiera. La festa non ha nulla di sacrale ma è solo la sospensione del lavoro; ed è il momento in cui gli abitanti di Sainte-Sévère vogliono essere diversi da tutti i giorni (come le signorine che si mettono l'abito bello e le scarpe nuove, salvo poi zoppicare fino a sera) e assumono modi di apparire meno provinciali e, nelle intenzioni, “cittadini”. Dallo scarto tra questo surrogato di vita metropolitana e la condizione di ogni giorno si sviluppa in Giorno di festa la costruzione comica di Tati, prefigurando quello schema che proponevo all'inizio come figura-base dei film di Hulot.

(1) Continuo a citae insieme Hulot e François di Giorno di Festa per comodità; in realtà tra i due esistono anche molte divergenze. Mi giustifico con fatto che, tentando di dare una prospettiva globale sul cinema di Tati, ci si deve comunque piegare a delle generalizzazioni.

(2) Alcune dichiarazioni di Tati su Hulot: «La situazione è comica in sè stessa, ciò che è capitato a Hulot poteva capitare a un gran numero di persone. In realtà ci sono molti Hulot per le strade…». «Hulot non inventa mai nulla». «Hulot deve fare le gags senza accorgersene, senza fare una strizzatina d'occhio al pubblico, come Charlot, senza avere l'aria di dirgli: guardate cosa riesco a ricavare da una situazione». E ricordiamo il suo desiderio di vedere Hulot comparire casualmente in qualsiasi film, come personaggio del cinema; desiderio concretizzato dalla sua bellissima ed occasionale comparizione in Domicilio Coniugale di Truffaut.

(3) Ecco una delle grandi differenze tra Hulot e François, senza il quale non sussisterebbe la parte migliore del Giorno di festa.