Per la sua 15ma edizione il FilmFestival del Garda (27 maggio-2 giugno) ricorda una delle stelle più luminose della scena cinematografica post seconda guerra mondiale, Romy Schneider, a 40 anni dalla scomparsa.
L'omaggio prevede tre dei suoi lavori fondamentali (oltre all'“inevitabile” primo Sissi di Ernst Marischka del 1955, La piscina di Jacques Deray, 1969 e L'amante di Claude Sautet, 1970), più il premiato biopic 3 Tage in Quiberon (2018) di Emily Atef, e una intervista, Conversation avec Romy Schneider, che la star rilasciò alla giornalista femminista Alice Schwarzer nel 1976.
“Nella mia famiglia tutto proviene dal teatro. Non ho mai avuto altra vocazione: è stato quello e solamente quello che volevo fare. Il mestiere dell'attore è stata la mia prima e sola passione”.
Nata a Vienna il 23 settembre 1938 da una celebre coppia di attori, Wolf Albach-Retty e Magda Schneider, una delle predilette del regime nazista, sospinta dalla sin troppo ingombrante madre (che la convinse, lei battezzata come Rosemarie Magdalena Albach-Retty, a prendere un nome d'arte) debuttò a 15 anni nel 1953 in Fiori di lillà, di Hans Deppe.
Dal 1954 al 1959, spessissimo nei panni di nobile o aristocratica nelle più cerimoniose corti d'antan (la trilogia di Sissi, ma anche giovane regina Vittoria in L'amore di una grande regina, 1954, sempre guidata da Marischka), i suoi occhi grigio-verdi e il portamento naturalmente aggraziato di una fanciulla in fiore alta 1 e 64 conquistarono il cuore del pubblico tedesco che ne fecero la risposta cinematografica, romantica e pulita, alle bellezze italiane, prosperose e popolane, o alle ingenue perverse francesi.
Solo che a Romy, varcati i 20 anni, le crinoline della dolce eroina nobile cominciarono a starle strette (“io sono una donna, non una bambola”), così come la pesante tutela di madre e patrigno. Conosciuto sul set Alain Delon in L'amante pura (1958) di Pierre Gaspard-Huit, si innamorò e si trasferì a Parigi, dove
potè appoggiarsi a 4 numi tutelari (ma il talento, prorompente e spontaneo, era tutto suo): Delon - insieme sino al 1964 - le diede la forza e la sicurezza della passione, Luchino Visconti ne affinò le doti artistiche (a partire dalla formidabile avventura teatrale di Dommage qu'elle soit une putain nel 1961), George Baume la consigliò come saggio agente (nonché amico) e a Coco Chanel (79 anni allora) si legò con devozione quasi filiale, ricevendone lezioni di stile che la esaltarono come donna e star.
Registi prestigiosi fecero a gara per utilizzarla e lei, sia nelle produzioni internazionali più scintillanti (Il cardinale, Ciao Pussycat, ma anche Il processo di Welles e più in là L'assassinio di Trotski di Losey e il Ludwig con il “suo” Visconti, passando anche per gli italiani Bevilacqua con La califfa e Dino Risi con Fantasma d'amore), sia in quelle più “intime” e nazionali (con i citati Deray e Sautet e poi Deville, Girod, Chabrol, Enrico, Costa-Gavras, Tavernier, Miller), rispose con tutta la sua duttilità di interprete che si dona totalmente al personaggio. Diceva di lei Tavernier che la utilizzò in La morte in diretta: “E' un'attrice tragica che non trucca nessuna espressione, nessuna emozione. Quando lavora è come se decollasse, come se si allontanasse dalla realtà. Vola, è un'attrice musicale, un'attrice verdiana, a un tempo tragica e lirica”.
Il suo ultimo film è del 1982 e in Italia ebbe un titolo sinistramente emblematico: La signora è di passaggio di Jacques Rouffio. Già, perché se Romy Schneider illuminava la schermo con la sua solarità, purtroppo la sua vita fu una terrificante collana di drammi, disgrazie e tragedie accompagnate da depressione e alcolismo. Solo negli ultimi anni aveva subito l'asportazione per tumore di un rene e soprattutto l'agghiacciante morte del figlio 14enne David nel 1981 (avuto dal primo matrimonio con il regista Harry Meyen - che tra l'altro nel 1979 si impiccò - mentre la secondogenita Sarah arrivò nel 1977 dal suo rapporto con il giornalista Daniel Biasini).
Il 29 maggio 1982 fu trovata morta per arresto cardiaco- ma probabilmente si trattò di suicidio- a 43 anni, lasciando in un attonito dolore gli amici che la adoravano per la generosità e la cordialità. Commentò Alain Delon: “Bella, ricca, celebre...cosa le è mancato? La pace, un poco di felicità...ma come spiegare che a forza di recitare, di interpretare, di essere quello che non siamo veramente, noi attori diventiamo folli e perduti? No,“gli altri” non possono capire questo. Che più uno diventa un grande attore più è inadatto a vivere”.