Adriana Asti, lo sguardo e l'ironia

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Grandi occhi scuri, inquieti e profondi, la fronte alta, le labbra che suggerivano una spontanea voracità e una voce dalle sonorità molto particolari, con una sottile asprezza ammorbidita dall'ironia: Adriana Asti (Milano, 30 aprile 1931 – Roma, 31 luglio 2025) era dotata di un'espressività luminosa e di una versatilità sia drammatica che comica. Aveva anche un dominio assoluto e spregiudicato della propria corporalità, tanto da “osare” ruoli che poche attrici avrebbero accettato.

Bisogna dirlo subito: il cinema non ha saputo valorizzare pienamente il suo grande talento, troppo spesso relegato a ruoli da caratterista (peraltro preziosi) per non parlare del suo significativo contributo all'arte del doppiaggio (sua la voce di Claudia Cardinale, Jacqueline Sassard, Catherine Spaak, Anouk Aimée, Claire Bloom, Lea Massari, Magali Noël, Emmanuelle Riva, Stefania Sandrelli, Romy Schneider e molte altre, in film importanti). Probabilmente perché la fisicità della Asti era troppo estranea agli schemi e ai cliché degli anni '60 e purtroppo non ha avuto le stesse fortunate occasioni di Monica Vitti e Mariangela Melato nei film della commedia all'italiana, dove sarebbe potuta diventare una mattatrice originale ed esilarante. A leggere la sua autobiografia, Ricordare e dimenticare, scritta con René De Ceccatty (Edizioni Portaparole, Milano 2017 ma la prima edizione francese è del 2011), traspare un'amara consapevolezza di queste occasioni mancate e una lucida analisi delle cause annesse e connesse ma anche la lucida rivendicazione di avere trovato nel teatro la dimensione più congeniale, come la forma d'arte che la faceva vivere un'altra identità e un'altra storia per mesi, anziché per le poche settimane delle riprese: “Quando ho voluto fare del teatro, era per vivere un'altra vita rispetto a quella che mi sarebbe stata senza dubbio destinata all'origine. Bisogna dire che a teatro c'è spazio per persone differenti. Io sono diversa: forse nessuno lo sa ma io sono un'altra, una persona a parte. (...)  Io volevo solamente essere un'altra persona. Amavo soltanto la vita illusoria, la vita sospesa degli attori”.

Nata a Milano il 30 aprile 1931, all'anagrafe Adelaide Aste, dopo un'apparizione nel cortometraggio di Dino Risi Buio in sala (1950), esordì a teatro nel 1951 recitando nel Miles gloriosus di Plauto con la compagnia stabile di Bolzano e ottenne i primi ruoli importanti in Elisabetta d'Inghilterra (1952) di Ferdinand Bruckner, diretto da Giorgio Strehler al Piccolo Teatro di Milano e ne Il crogiuolo (1955) di Arthur Miller, diretto da Luchino Visconti al Teatro Quirino. Nonostante avesse dovuto venire sostituita per qualche tempo a causa di un devastante esaurimento nervoso, con Visconti nacque un'intesa profonda e la Asti scrisse che fu il regista del Gattopardo a plasmarla come attrice.

Al cinema, dopo avere dovuto rinunciare ad assegnarle la parte della protagonista nelle Notti bianche (1957), le affiderà dei piccoli ruoli, che ne evidenziano lo humour, in Rocco e i suoi fratelli (1960) e in Ludwig (1973) ma è soprattutto sulle scene che le diede occasione di esprimere tutte le sfaccettature del suo talento e del suo temperamento: in Veglia la mia casa, angelo (1958) di Ketti Frings, L'inserzione (1969) di Natalia Ginzburg e in uno dei suoi ultimi spettacoli, Tanto tempo fa (1973) di Harold Pinter, dove recitò anche nuda, con una sensualità di notevole magnetismo che peraltro aveva già lasciato intravedere in Prima della rivoluzione (1964) di Bernardo Bertolucci, uno dei suoi rari ruoli di protagonista al cinema, dove imprime un particolare spessore alla personalità nevrotica di Gina. Negli anni Sessanta si misurò con Vittorio Gassman attore e regista in due importanti spettacoli, Questa sera si recita a soggetto (1962) di Luigi Pirandello, al Teatro Alfieri di Torino e in Mito e libertà, antologia del “Teatro Popolare Italiano”. Nel 1961 incarnò al cinema Amore, un vivace e sfaccettato personaggio di prostituta, al tempo stesso orgogliosa e malevola, in Accattone (1961) di Pier Paolo Pasolini, di cui divenne amica e che la chiamerà ancora per il ruolo malizioso della marionetta Bianca nel bellissimo Che cosa sono le nuvole? (1967), episodio di Capriccio all'italiana. Tra i pochi ruoli di protagonista al cinema ricordiamo l'ambiguo e conturbante personaggio di Francesca nel primo, irrisolto film di Susan Sontag, Una tarantola dalla pelle calda (Duett för kannibaler, 1969) e ancora la sua sensualità sarà al centro di una modesta commedia di costume ambientata durante il fascismo, Nipoti miei diletti (1974) di Franco Rossetti, un film non all'altezza del suo talento e di scarso successo nelle sale, così come non lo sarà Un cuore semplice (1977) da Flaubert, diretto da Giorgio Ferrara da una sceneggiatura di Zavattini che avrebbe realizzato Vittorio De Sica se non fosse morto tre anni prima.

Bellissimi sono comunque i suoi brevi ruoli, tra gli altri, ne Il fantasma della libertà (Le fantôme de la liberté, 1974), di Luis Buñuel, dove rifulge anche la sua corporalità, come e in misura maggiore nel film “rubato” a Tinto Brass, Caligola (1976), dove è la patrizia Ennia Trasilla. A teatro si affermò come una delle migliori attrici della sua generazione in spettacoli quali Les bonnes (1980) di Jean Genet, regia di Mario Missiroli, La Maria Brasca (1992) di Giovanni Testori, regia di Andrée Ruth Shammah, per cui ottenne il premio Eleonora Duse, Giorni felici (2010) di Samuel Beckett, regia di Robert Wilson, La voce umana/Il bell'indifferente (2013) di Jean Cocteau, adattamento di René de Ceccatty, regia di Benoît Jacquot, Danza macabra (2014), regia di Luca Ronconi, Memorie di Adriana (2017) di Andrée Ruth Shammah, tratto dalla sua autobiografia, La ballata della Zerlina (2019) di Hermann Broch, adattamento di de Ceccatty, regia di Lucinda Childs. Alla sua città natale, nel 2005 aveva dedicato uno spettacolo, Stramilano, dove si identificava in una donna intenta ad contemplare l’evoluzione della propria città che lentamente muta e le diventa estranea, attraverso un labirinto di testi di Alberto Arbasino, Franco Fortini, Alessandro Manzoni, Carlo Porta, Delio Tessa, Giovanni Testori e altri. Al cinema sono particolarmente significativi i suoi ruoli di madre in La meglio gioventù (2003) di Marco Tullio Giordana, un regista che ne ha valorizzato in varie occasioni la maturità espressiva, e in Pasolini (2014), dove la sua interpretazione della mamma del poeta-regista costituisce uno dei pochi elementi riusciti del mediocre film di Abel Ferrara. L'ultimo ruolo da protagonista è la spassosa popolana Iride che duetta con Franca Valeri-Emilia, sua grande amica, nella divertente variazione pucciniana scritta per le scene dalla stessa Valeri, Tosca e altre due (2003) di Ferrara. Durante la conferenza-stampa per presentare il film, Adriana Asti dichiarò: “La cosa più bella è che sentivamo dei fantasmi, tutti vivi in questa storia”.