La penna comica di Stefano Benni

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Nella capitale del 1977, ovvero Bologna, sospinta tra estremismo totalizzante e punk, Dams e sentimenti antiborghesi, nel rigoglio di una nuova generazione che “voleva tutto” ci fu spazio anche per la scoperta di un umorismo più radicale e rivoluzionario, provocatorio e creativo. Tra satira sociale e nonsense. Dalla musica demenziale degli Skiantos, ai fumetti di Andrea Pazienza e Filippo Scozzari, dal teatro di Alessandro Bergonzoni (in verità questo un po' più avanti nel tempo), sino alla letteratura da cult di massa (!!!), di cui Stefano “lupo” Benni, scomparso il 9 settembre a 78 anni dopo una lunga invalidante malattia, è stato l'interprete più versatile, conosciuto e brillante.

Al suo debutto nella società della pop culture fece subito il botto. I suoi raccontini dalle colonne de Il Mago (rivista di fumetti nata in Mondadori nel 1972), quelli del Bar sport per capirci, fecero epoca, sketch esilaranti sui luoghi e le abitudini della Italia più comune, rivoltata dal gusto per la parodia esilarante di un'epica applicata ai rituali di tutti i giorni. Una carriera stupenda la sua, mai minacciata da ipertrofie e rimbambimenti dell'egocentrismo (del resto, il soprannome Lupo gli derivava dalla sua infanzia negli Appennini a Monzuno e non lo ripudiò mai!). Scrisse testi corrosivi per Beppe Grillo, collaborò per varie testate (Linus, La Repubblica, Il Manifesto, L'Espresso, Panorama, Cuore e Tango), e “fatalmente” traboccando nell'editoria, con libri entrati nel cuore dei suoi coetanei (Terra!, Comici spaventati guerrieri, Baol, La compagnia dei Celestini, Il bar sotto il mare, Margherita Dolcevita...solo per citarne alcuni sino all'ultimo del 2020, Giura).

Ma noi lo ricordiamo qui soprattutto per i suoi addentellati con lo spettacolo, il teatro (tre i volumi con cui la Feltrinelli ha raccolto i suoi testi) e il cinema. Per l'amico e allora sodale Beppe Grillo (per cui scriveva i testi per la tv) sceneggiò Topo Galileo (1987) di Francesco Laudadio e due anni dopo debuttò addirittura alla regia con peraltro un non indimenticabile Musica per vecchi animali, che pure vantava un cast bizzarro e accattivante (tra gli altri Dario Fo, Paolo Rossi, Francesco Guccini, Eros Pagni). Del 2011 il suo ultimo sforzo come autore, aiutando a trasportare su schermo i suoi travolgenti racconti di Bar sport, per la regia di Massimo Martelli e la partecipazione di Claudio Bisio, Teo Teocoli, Anna Finocchiaro, più Claudio Amendola nei panni dell'avventore occasionale che si avventurò a mangiare la “Luisona,” bombolone mascotte di tutta la fauna che popolava il locale.

Non era però evidentemente la sua tazza di the, anche tenendo conto delle sue “improvvisate” da attore, come ad esempio in Slepless (2008) di Maddalena De Panfilis. Molto meglio le sue performances sul palco, il reading Sconcerto con Paolo Damiani o le letture reperibili su audiolibri di Badlanders e La terra desolata. A dispetto dello stile scoppiettante, straricco di trovate linguistiche, dell'impegno politico e civile della sua penna, Stefano Benni non fu mai personaggio fatuo e presenzialista  da rotocalco (come si diceva una volta) o da Dagospia. Preferiva la sua Bologna e la compagnia magari di amici veri e di livello altissimo, come  Daniel Pennac (che gli dedicò l'opera Grazie!) o Nick Cave. Scusate se è poco.