“La risata? Viene dalla catastrofe”, ci rammentava oltre un decennio fa Carlo Mazzacurati all’uscita del suo film testamentario, La sedia della felicità, trasognata commedia nella precarietà materiale ed esistenziale di un nord-est scarmigliato e grottesco. Con La valle dei sorrisi di Paolo Strippoli, in coordinate limitrofe, sempre in lande montane ma allucinate e sfocate come l’irreale esige, ci si inerpica ancora nelle rifrazioni tra allegrezza e angoscia, tra sbandamento e sopravvivenza, ma in un’estetica oscura e fatalista, dove la maschera deformante del riso è fumosa messinscena di luttuosi rimossi.
Horror che non pretende di esserlo, la terza incursione nel genere del regista sfalda i codici del terrore, conservandone soprattutto l’impalcatura d’atmosfera e anteponendo ai meccanismi della suspense il claustrofobico decorso di segreti svelati in una comunità friulana, il disegno rarefatto e dominante del perturbante, nello slittamento di particolari incongrui. Tra le vette plumbee di Remis, “la valle dei sorrisi”, giunge in un istituto superiore Sergio Rossetti (Michele Riondino), insegnante di educazione fisica ed ex campione di judo, accolto tra messianiche attese, che lui, roccioso e scostante, disinnesca di fronte ad allievi e personale scolastico. Alfiere di tormenti che incrinano l’artificiosa e stridente amenità degli abitanti, l’uomo verrà iniziato a un rituale purificatorio, dove Matteo (Giulio Feltri), uno studente taumaturgo, dispensa con abbracci una narcotica felicità, che il padre padrone gli preclude.
Tra le macerie di una tragedia collettiva, ogni personaggio rifugge dalla fatica dell’introspezione. Come in A Classic Horror Story (2021, in co-regia con Roberto De Feo) e Piove (2022), questa Twin Peaks di zombi in vita si chiude con un abbraccio, correlativo espressivo di un film che sull’incontro e sulla fusione catartica di opposti, tra reietti dell’anima e un angelo infernale, erige altisonanti esplorazioni tematiche: l’oblio dell’inconscio, la cecità genitoriale, l’adolescenza come conflittualità monstre. Ossimori, distopie psicologiche (soffocare la cognizione del dolore), specularità (tra docente e allievo): in un’intricata e rimpolpata mistura drammatica La valle dei sorrisi potenzia la scrittura horror come terreno di metafore, stratifica senza però sfumare, per un affondo contorto e penetrante nei traumi generazionali, dove l’essere padri è labirinto di inadeguatezza, l’essere adolescenti un salto nel vuoto, trafitto da fragili desideri, dai pregiudizi dei pari, dalle stimmate di una scomoda alterità. Distante da A Classic Horror Story, dove il gotico provinciale (calabrese) nel suo manto ancestrale aspirava al rango di protagonista, qui la geografia dell’inquietudine non si radica nello stilizzato folklore dell’atrofizzato villaggio, ma in sequenze d’interni giustapposte e modulate su toni bicromatici, linee geometriche, effetti di quadro nel quadro che concentrano visivamente l’astrattezza razionalistica del film, predisposto per aggirare gli stilemi e le emozioni dell’horror mistico, fino al teorema conclusivo, fino a un possibile baluardo di umanesimo. Reminiscenze di prodotti recenti, quali il franchise di Smile e Midsommar di Ari Aster, non scalfiscono le suggestioni di un canone più influente, da La fabbrica delle mogli (1975) ai formalismi di genere degli anni Settanta, dove tuttavia lo scacchiere delle fascinose ambiguità viene sacrificato per una corroborata critica sociale. Un’ulteriore promessa per galvanizzare un filone da troppo tempo appannato nel panorama italiano.
Remis è un paesino nascosto in una valle isolata tra le montagne. I suoi abitanti sono tutti insolitamente felici. Sembra la destinazione perfetta per il nuovo insegnante di educazione fisica, Sergio Rossetti, tormentato da un passato misterioso. Grazie all’incontro con Michela, la giovane proprietaria della locanda del paese, il professore scopre che dietro questa apparente serenità, si cela un inquietante rituale: una notte a settimana, gli abitanti si radunano per abbracciare un adolescente capace di assorbire il dolore degli altri...