Nella piccola sezione Korean Cinema Today – Panorama del festival di Busan è stato presentato il lavoro collettivo Time of Cinema, che comprende i cortometraggi di due autori coreani, Lee Jong-pil e Yoon Ga-eun.
Il film indaga da un lato la relazione che si viene a determinare in un luogo ben preciso, vale a dire la sala cinematografica, tra le immagini che scorrono sullo schermo e il pubblico; dall’altro riflette sul momento creativo della nascita del film.
Lee Jong-pil, noto soprattutto per aver realizzato Sajin Company English Class (2020), film che ottenne un grande successo di pubblico in Corea del Sud nonostante fosse stato distribuito nel periodo della pandemia, e l’action thriller Escape (2024), apre Time of Cinema con il corto Chimpanzee. Con uno stile aneddotico venato di surrealtà, e attraverso le vicende di tre ragazzi che hanno assistito alla proiezione di un film su uno scimpanzè arrivato in Corea dalla Polonia negli anni Settanta, l’autore si sofferma sulle dinamiche tra film e spettatore - «Cosa ci rimane non sono le storie, ma il tempo che abbiamo condiviso» - e sui confini tra storia raccontata e percepita. Ciò che conta per l’autore è la speciale esperienza dell’assistere a uno spettacolo cinematografico, che non si conclude con la fine del film, ma che stimola negli spettatori riflessioni, quesiti, interpretazioni che perdurano anche una volta usciti dalla sala.
Interessante anche il secondo cortometraggio, Naturally. Yoon Ga-eun è una regista nota al pubblico internazionale, le sue opere sono state presentate con successo a diversi festival cinematografici tra i quali la Berlinale, il Tokyo film festival e il Far East film festival di Udine. Nei suoi film l’attenzione si focalizza sui giovani e giovanissimi: sia in The World of Us (2016) che nel successivo The House of Us (2019) la camera segue le vicende di alcune ragazzine, nel contesto scolastico o familiare, concentrandosi sulle relazioni interpersonali, sulle incertezze e la determinazione, cogliendo con sensibilità gli sguardi rivolti verso il mondo degli adulti. Un approccio che ha spesso indotto la critica ad accomunare il cinema di Yoon Ga-eun a quello di Koreeda Hirokazu, il regista giapponese che più di altri ha dimostrato sempre grande sensibilità nel ritrarre il mondo dei più piccoli.
Naturally si apre su un gruppo di ragazze che si muovono all’aperto, circondate da un ambiente naturale, sono allegre e spensierate, come in un giorno di vacanza in campagna. La regista isola in primo piano lo sguardo di una di loro, che appare perplessa o forse semplicemente disorientata dalla situazione, ma subito le amiche intervengono a scuoterla da torpore e corrono via insieme. Poco dopo questa introduzione lo spettatore scopre che si tratta di un giorno di riprese outdoor: prima è la voce della regista a dare indicazioni al gruppo, poi è la sua stessa figura che viene messa in campo a chiarire che si tratta di un segmento di metacinema, che documenta la realizzazione di un film. Vengono introdotti frequenti spazi di confronto tra le giovani attrici e la regista, e anche momenti di condivisione che sembrano superare i confini della routine delle riprese e che si inseriscono cogliendo tutto l’entusiasmo e la contagiosa gioia di vivere delle ragazze. Il finale sposta il gruppo all’interno di una sala cinematografica: è il momento della visione del lavoro. Yoon Ga-eun conclude la sequenza con lo sguardo di nuovo concentrato sulla perplessità della giovane attrice che aveva aperto il film e che, come in soluzioni analoghe nei suoi film precedenti, apre uno spiraglio sul variegato universo delle emozioni dei più giovani.
In conclusione nel film dei due registi coreani il cinema è esperienza emotiva, sia nel momento della creazione che in quello della fruizione dell’opera, spazio temporale che coinvolge e perdura, dentro e fuori la sala cinematografica.