Zuzana Kirchnerová, la regista ceca di Caravan, il suo esordio nel lungometraggio passato a Cannes 2025 (Un Certain Regard) oltre che a Karlovy Vary e al Giffoni Film Festival, parlando di Senza tetto né legge di Agnès Varda, una delle pellicole che ama di più, ha detto che «ha la raffinata sensibilità del cinema, ma anche la leggerezza giocosa di un documentario». Ebbene, noi possiamo dire lo stesso del suo film: autentico e vero come i migliori documentari, che respirano il sapore della realtà nel raccontare corpi, paesaggi, situazioni, fisicità, materia insomma, e al contempo prezioso, raffinato, sensibile.
L’opera si apre su questo côté magico – simbolico, oltre che cinematograficamente ricercato: Ester, la protagonista, parla a suo figlio David, preadolescente con disabilità intellettiva, dicendogli che non deve preoccuparsi, che andrà tutto bene, che vedranno il mare, e la sabbia, e i gabbiani… e le ragazze, mentre sullo schermo scorrono immagini morbide, piani ravvicinati del corpo dei due nella luce soffusa o sprazzi di cielo, di mare e di paesaggio, dai colori chiari e dall’atmosfera delicata. La tenerezza della donna nei confronti del figlio si avverte tutta, come anche la forza che ha nell’esserci. Ogni giorno, lì, per lui. Poi c’è una parte più narrativa che mostra l’inizio della vacanza dei due, presso la famiglia di una cara amica di Ester, come lei ceca, che vive in Italia con marito e figlie, d’estate in una villa al mare con piscina e giardino; dai pochi dialoghi che i personaggi hanno tra loro capiamo meglio la situazione e apprendiamo che le due donne, da giovani, erano venute in Italia a lavorare, vivendo in un fienile al Sud e raccogliendo frutta, fino a che Petra, l’amica di Ester, non ha incontrato Tommaso, che era lì in vacanza con il camper, e l’ha sposato. È proprio da quel grande camper, un autocaravan, che comincia il vero film e anche la sua parte, se vogliamo, più documentaristica o comunque realistica, e anche giocosa (per restare sulla citazione dell’inizio), perché Ester e il figlio vengono messi a dormire nell’automezzo, che sta in giardino, a causa delle “intemperanze” del ragazzo e la protagonista decide all’improvviso, d’istinto, di accenderne i motori per partire alla volta del Sud. Lungo la strada, sulla riviera romagnola, incontreranno Zuza, la ragazza dai capelli rosa di cui David si innamorerà e che lascerà i due dopo aver vissuto con loro situazioni e avventure diverse (feste, nuotate, sagre di paese e giochi), in Calabria, dove si fermano per un po’. Qui Ester si fa assumere da un giovane trafficante e allevatore, con cui entra in intimità; finalmente può concedersi un amore, un’attenzione maschile, perché David è con Zuza e lei è in vacanza, e le scene di sesso tra i due sono tenere o nervose, sempre realistiche e belle. La partenza improvvisa della ragazza, tuttavia, spezza l’idillio e cambia gli equilibri, determinando la fine della vacanza (intesa nel senso etimologico del termine che è essere vuoti, liberi da occupazioni, e usare questa libertà per sperimentare cose “altre” da quelle che sostanziano la propria quotidianità); per cui Ester capisce che è tempo di tornare e muove il camper verso Nord anche se, sull’Aspromonte, deve fare i conti con la tristezza e la rabbia di David per l’abbandono di Zuza, che si esprime in un tentativo di fuga.
Il film è un road movie ma l’interesse della sua autrice è evidenziare un tema importante, quello della disabilità intellettiva considerata anche sul piano familiare, con sensibilità e competenza, a partire da un elemento autobiografico: la regista ha due figli, uno dei quali con sindrome di Down e autismo. In particolare vengono affrontati il rapporto tra una madre e un figlio con disabilità e la stanchezza che un genitore può avvertire nell’essere l’unico riferimento per il figlio, specie se si tratta di un genitore single e se il figlio in questione sta diventando un uomo. Nel film il focus è su David, sulle costrizioni che avverte anche in relazione a come lo guardano gli altri, sulle pulsioni fisiche che comincia a provare, sul suo primo innamoramento e sul successivo senso di solitudine; anche se l’attenzione della regista è soprattutto su Ester, sul suo «desiderio urgente e aggressivo di vivere», e la scelta del road movie è legata al suo bisogno di evasione, di fuga, anche di ribellione al “ruolo” che deve quotidianamente interpretare. Un’opera quindi dalle molte sfaccettature, recitata magnificamente da attori cechi (come la protagonista Anna Geislerová), slovacchi e italiani e diretta altrettanto bene, che può essere goduta anche solo visivamente grazie alla fotografia di Simona Weisslechner e Denisa Buranova e che si chiude con “Il mio cuore fa Bam” di Padovan, Huguenin e Sanna.
Ester, una donna ceca di circa 45 anni, si è occupata per gran parte della sua vita del figlio adolescente David, affetto da disabilità mentale. Per le vacanze estive viene invitata da alcuni amici in Italia ma il comportamento di David crea numerosi problemi. Dopo l'ennesimo crollo nervoso del ragazzo, la tensione aumenta e le viene chiesto di dormire in una vecchia roulotte parcheggiata in giardino. Reagisce così d'impulso, mette in moto il camper e parte assieme al figlio verso il sud del paese...