È un film che gode di impegni e valori produttivi importanti, di una sceneggiatura complessa e a molti strati. Ha l’intelligenza di scegliere un punto di vista, che è quello del personaggio principale, quasi onnipresente, Adriano Severi, di cui il film segue l’intero percorso di redenzione personale da una situazione di profonda depressione a una di (relativa) riconciliazione con sé stesso e con il mondo. Certo, non mancano nel film degli aspetti già visti, concentrati anch’essi sul personaggio di Adriano, interpretato da un Valerio Mastandrea che, fisicamente, assomiglia sempre più a Bruno Ganz, di cui eredita anche un certo modo di stare sul set e un certo modo di stare nel mondo.
Dunque: Adriano impersona in primis la figura del misantropo di una certa età (nel film lo chiamano “vecchio matto” e “passivo aggressivo”) che si isola dal resto del mondo, avviato alla deriva esistenziale, ma che viene improvvisamente rivitalizzato e rimotivato dall’arrivo di un gruppo di giovani entusiasti e progettuali. Tanti sono i film con questo canovaccio, dal Visconti di Gruppo di famiglia in un interno in giù. In secondo luogo, Adriano impersona il personaggio del professionista allo sbando (vuole addirittura lasciare il suo studio) che trova il riscatto professionale difendendo i ragazzi in una causa naturalmente nobilissima battendosi contro il “sistema” (salvare una dimora d’epoca e una tenuta in cui installare una vigna): qui i titoli di Hollywood con questa trama sono innumerevoli, una volta protagonista Dustin Hoffman un’altra Gene Hackman. Infine, Valerio impersona la figura del padre che ha fallito (per incuria, anche se non per colpa solo sua, ha lasciato che la figlia disabile annegasse, e ciò lo ha condotto a un processo penoso intentatogli dalla ex moglie che lo odia) ma che, anche qui, riesce a riscattarsi, ritrovando la sua funzione genitoriale almeno nei confronti dell’altro figlio che lo disprezzava e neppure voleva vederlo.

A queste strutture narrative si sommano altri aspetti in cui è evidente l’intervento dell’autore, come mostrano gli altri film di Virzì. Ad esempio, un certo interesse per il ricorso a simbolismi significanti, come la metafora dell’uva e della vigna, che simboleggia la fertilità (la giovane contessina Matilda è incinta) ma, nel contesto cristiano, è anche simbolo di redenzione. La redenzione che attende Adriano e che viene epitomizzata nell’ultima inquadratura del film, con quel primo piano insistito sul volto del protagonista che pian piano si allarga in un sorriso di compiacimento, mentre è alla guida dell’auto e si dirige verso un tramonto da cartolina. In precedenza, Adriano aveva vissuto il suo momento di teofania partecipando fisicamente al parto di Matilda, contribuendo a far nascere una bambina che, ovviamente, prenderà il posto della vera figlia che lui ha malamente perduto. Per chiarire bene questo punto, Virzì nel finale fa apparire un messaggio sul telefonino di Adriano in cui gli viene detto “Buongiorno papà” dalla puerpera. Insomma, tutto si ricompone, e il film assume anche i contorni di un possibile feel good movie: il che con i tempi che corrono può essere anche un elemento positivo.
Il film si caratterizza inoltre per una certa ricerca di soluzioni visive accattivanti, qualche volta un po’ decorative: il bagno nel mar Tirreno tutti nudi, la festa della spremitura con danze, schitarrate e libagioni. Oppure il modo curatissimo con cui vengono mostrati i luoghi dove si svolgono i fatti, villa Guelfi e i suoi dintorni toscaneggianti, depurati da qualsivoglia rude connotazione macchiaiola. Tutto fila liscio in un meccanismo oliato che fa tornare ogni cosa al posto giusto, senza grandi sorprese ma con un equilibrio che indubbiamente funziona. Alla fine, Adriano viene “salvato” da una congiura attentamente orchestrata da Virzì a cui partecipano diversi personaggi: una collega che lo ama follemente non ricambiata (Valeria Bruni Tedeschi un po’ nella parte di Valeria Bruni Tedeschi) e che scopriamo avere un cancro (un’aggiunta un po’ cattiva nei confronti di un personaggio già in sofferenza amorosa), un gruppo di giovanotti simpatici, dinamici e propositivi, sempre allegri, abbastanza distanti dalla deprimente realtà dei veri giovani di oggi pieni di problemi, una ragazzetta che potremmo immaginare diventare sua amante e che gli sforna una figlia sostitutiva, un giudice pietoso.
Chi è quel tipo dall’aria trascurata che vive da solo nelle stalle ristrutturate di Villa Guelfi, una dimora disabitata e in rovina? Passa le giornate a non far nulla, fumando il suo mezzo-toscano ed evitando il contatto con tutti. E quando si accorge che nella villa si è stabilita abusivamente una comunità di ragazze e ragazzi che si dedicano a curare quella campagna e i vigneti abbandonati, si innervosisce e vorrebbe cacciarli...