Fiorella Infascelli

La camera di consiglio

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«Teatro patologico!», commenta il giudice nell’Aula Bunker, allibito di fronte alla serie di esibizioni tragicomiche di detenuti e parenti nel film di Marco Bellocchio Il traditore. La “scena”, è il caso di dire, appartiene di diritto processuale e storico, politico e antropologico italiano al di-battimento nel “maxiprocesso”, come è ormai noto e denominato, celebrato a Palermo nel suo arco relativamente completo ma significativo, fino cioè alla sentenza di primo grado, dal 1986 al 1987. Ed è da questa intuizione “teatrale” che nasce probabilmente anche la scelta ne La camera di consiglio di Fiorella Infascelli di valorizzare fino in fondo le quinte anonime della fase in cui gli otto membri della Corte d’Assise si ritirano tra le pareti di cemento armato dell’edificio bunker nel complesso del carcere dell’Ucciardone, detenuti togati a due passi dai detenuti reali.

La cronaca dei fatti, già nota e pubblicizzata, viene dunque relegata, come per un atto dovuto conoscitivo e mediale, all’incipit e alle immagini di repertorio; mentre al segreto decisionale è dedicato l’intero racconto fatto di persone isolate, che discutono, si relazionano, confliggono e raggiungono il complicato e articolato verdetto. Filmare dunque l’invisibile e soprattutto coglierne la completa assenza di elementi esterni o decorativi all’interno è stata la sfida di un film che punta anche a divulgare la vicenda, concentrandosi in tutti i sensi sul finale non scontato. C’è nell’intero impianto processuale un problema, civile e organizzativo, formale e culturale, che grava sull’evento di portata internazionale, in quanto processo alla più vasta compagine di Cosa Nostra; e uno degli stessi membri del pool antimafia, l’allora più giovane, Giuseppe Di Lello, lo ha descritto nel suo saggio Giudici del 1994, evidenziando lealmente, da magistrato e intellettuale, «il dubbio che anche nel dibattimento la voce della difesa abbia stentato a lasciare le sue tracce e che, complessivamente, in tutte le sue fasi, si sia data la preferenza alla bontà “sostanziale” del maxiprocesso».

La camera di consiglio si configura dunque, sin dal titolo, come l’estrinsecazione di questa linea: lo fa con cognizione di causa, anche processuale, in camera e per la camera, con riferimento allusivo alla macchina da presa; non per lo sguardo esterno estromesso e interdetto. Le tensioni interne diventano parte integrante della coscienza, dei codici e della responsabilità; e la fitta rete dialogica, lo spazio tra i personaggi, unici soggetti anti-spettacolari disponibili, è ciò che resta allo spettatore per orientarsi nella difficoltà di giudicare reati tremendi, inequivocabili e sistematici, “contestuali” nell’accezione di Leonardo Sciascia e “osceni” in quella di Carmelo Bene (“al di là della scena”). L’assenza strategica di politici e mandanti effettivi rende il dispositivo filmico e della sentenza inseparabili l’uno dall’altra nella prospettiva deliberatamente sobria come i personaggi pirandelliani messi in campo da Fiorella Infascelli. E questa assenza diventa agli occhi del pubblico attento parte integrante di una questione di lungo corso, in cui paradossalmente la giustizia può trovarsi a dover decidere di fare o non fare la cosa giusta al momento giusto. Del resto il primo “maxiprocesso” alla criminalità organizzata, quello alla Camorra del 1911-1912, noto come il Processo Cuocolo, fu un esempio eclatante di “processo indiziario”, mentre Processo alla città (1952) di Luigi Zampa, complice l’encomiabile contributo a monte del giovane Francesco Rosi, ne offriva una chiave ribaltata, politico-indiziaria: adeguata a tempi di ben altra illegalità politico-istituzionale, oggi rimarcata dalla nostalgia per “giuste opinioni” di Licio Gelli.


 

La camera di consiglio
Italia, 2025, 107'
Titolo originale:
id.
Regia:
Fiorella Infascelli
Fotografia:
Fabio Zamarion
Montaggio:
Carlo Poggioli
Cast:
Sergio Rubini, Massimo Popolizio, Roberta Rigano, Claudio Bigagli, Stefania Blandeburgo, Anna Della Rosa, Rosario Lisma, Betti Pedrazzi
Produzione:
Armosia Italia, Master Five Cinematografica
Distribuzione:
Notorious Pictures

1987, atto finale del Maxi processo di Palermo, il più grande processo penale della storia italiana. In questa occasione otto giurati, quattro donne e quattro uomini, vengono chiusi in una camera di consiglio per trentasei giorni. Il loro compito è quello di stabilire le condanne o le assoluzioni per ben 470 imputati. A guidarli ci sono il Presidente e il Giudice a latere. Tuttavia, il peso delle decisioni e la convivenza forzata trasformano l’esperienza. Ogni giorno nascono tensioni, dubbi, alleanze e rotture.

 

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