Con Il giardino delle delizie (film del 2004) Lech Majewski inaugura quella trilogia sull’arte che passerà per I colori della passione (2011) fino ad approdare al recente Onirica (2014), segnando un cammino che va da Hyeronimus Bosch a Bruegel il Vecchio fino alla Commedia dantesca.
Se però La salita al Calvario del pittore fiammingo sarà un vero e proprio viaggio nella pittura, dove lo spettatore viene letteralmente immerso nel quadro assistendone alla realizzazione dal suo interno, nella pellicola in esame avviene il procedimento inverso: Il trittico delle delizie di Bosch viene ricostruito al di fuori del dipinto, proiettato verso l’esterno.
La storica dell’arte Claudia, malata terminale di cancro, convince il compagno Chris a vivere il tempo che le rimane in un appartamento panoramico a Venezia dove condividere la sua grande passione per l’artista olandese, fino a ricrearne il capolavoro e respirarne tutto lo spirito e la suggestione, dando così vita al loro “giardino delle delizie”, intimo e catartico.
I protagonisti riproducono allora le scene surreali e simboliche dell’opera attraverso fantasiosi tableux vivent che sottolineano un aspetto distintivo della riflessione di Majewski: l’interconnessione tra vita ed arte.
Mentre ne I colori della passione emerge l’influenza che il momento storico delle Fiandre ha sull’atmosfera e sulle allegorie alla base della creazione di Bruegel, per la Claudia de Il giardino delle delizie l’arte di Bosch assolve una funzione liberatrice, ricreando l’eden terreno rappresentato nel trittico, in quanto rifugio ove affrontare il mistero della morte. Trapela dunque una funzionalità dell’arte che trova un riscontro anche nell’approccio filmico.
Lo spettatore guarda l’intera vicenda attraverso la telecamera digitale di Chris che “riprende tutto”, da cui scaturisce un effetto documentaristico in stile Dogma con la conseguente enfatizzazione di un voyeurismo totalizzante e feroce. Se tale scelta da un lato ricalca il contrasto tra un’arte senza tempo e la documentazione più reale e tangibile possibile, d’altro canto chiama in causa l’occhio indagatore del cinema, soffermandosi sulla questione dello sguardo, tanto cara al regista. Ed è qui che s’incontrano pittura e cinema.
Fervido sostenitore di un’arte antica in cui centrale era il processo dell’osservazione e dell’interpretazione della realtà, del suo senso e del suo simbolismo, Majewski è poco attratto dalle correnti artistiche contemporanee in cui non riscontra più tali capacità, ma di contro si avvale delle moderne tecniche cinematografiche per attuare uno sperimentalismo teso alla rivalutazione di quel sacro artistico andato perduto.
Proprio tale tensione verso una sacralità dell’arte conferisce fascino a Il giardino delle delizie e al tempo stesso rischia alle volte di perdersi tra eccessivi didascalismi e un pizzico di pretenziosità, che ad ogni modo lasciano inalterata la validità e l’efficacia del pretesto: realizzare un film su Bosch, ultimo desiderio di Claudia, che Chris, guardando i suoi stessi filmati, compone sotto i nostri occhi, abbandonando ogni continuità cronologica. La linearità negata al montaggio diventa quindi metafora di quell’eden terreno in cui tutto pare possibile, anche sconfiggere la morte con la persistenza e la reiterazione di un’immagine, e in cui si medita sull’esistenza attraverso un metacinema al totale servizio dell’arte.
“Il giardino delle delizie” di Lech Majewski (2004, 104’). Data uscita DVD: 18/11/2014