“What does cinema know that we don’t?”, che cosa sa il cinema che noi non sappiamo?
Buona domanda, a patto che si sappia rispondere. Il cineasta tedesco Rudiger Suchsland l’ha messa alla base del suo Von Caligari zu Hitler, appassionata incursione nel territorio del cinema di Weimar.
Prendendo spunto da un autorevole saggio del filosofo tedesco Siegfried Kracauer, che vedeva nei film espressionisti tracce anticipatrici dell’avvento del nazismo in Germania, Suchsland racconta la storia del cinema tedesco degli anni venti alla luce del contesto sociale e politico dell’epoca.
Ampio utilizzo di materiale di repertorio, dalle riprese documentarie della Berlino anni venti agli spezzoni dei più importanti film d’epoca, una voce fuori campo che con diligenza ripercorre le carriere delle figure – da Pommer a Lang, da Murnau a Pabst – e delle opere fondamentali del periodo.
Quando si tratta però di spiegare che cosa effettivamente “sapevano i film”, ovvero quali elementi li hanno resi socialmente e culturalmente sintomatici, Suchsland non va oltre un bagaglio di frasi passe-partout quali “inconscio collettivo”, “disagio sociale”, “turbolenza interiore”; quasi che le definizioni e le immagini dei film possano da sole, in virtù della semplice compresenza sullo schermo, produrre il miracolo di un’interpretazione autorevole e storicamente definita.
Difficile scorgere la strada che dal cinema porta alla società (e viceversa), anche quando si dispone di sontuose copie dei film d’epoca da saccheggiare a proprio piacimento. La cinefilia non basta: è un buon punto di partenza, ma non può essere quello d’arrivo.