Per essere protette, le idee, devono prima di tutto avere una forma precisa. In fondo, a volte, per innamorarsi di un’idea non c’è alcun bisogno di capirla o conoscerla a fondo. Può solo essere una questione d’istinto: basta vederla, anche fugacemente, un’idea, per capire che per difenderla e mantenerla viva, si potrebbe anche morire; senza una motivazione profonda, senza spiegazioni o parole convincenti. A volte basta uno sguardo.
Ma allora, quale può essere la forma di un’idea? È possibile darle un volto o un’identità?
Per Guillermo Del Toro un’idea può assomigliare a una creatura degli abissi; può presentarsi davanti ai nostri occhi come un mix tra l’Abe Sapien di Hellboy e il mostro della laguna nera, qualcosa o qualcuno di cui non si conoscono il nome, il passato e le potenzialità. Un’immagine che non può dare risposte e che richiede un atto di fede. Per Guillermo Del Toro il cinema, o meglio un’idea precisa e personale di cinema, ha le sembianze di un mostro: ci sarà chi non lo capirà e vorrà strumentalizzarne la natura; chi ne sarà spaventato e cercherà di vivisezionarlo; e chi, dopo un solo sguardo, se ne innamorerà e vorrà prendersene cura. Per salvarla, un’idea (anche quando ha le sembianze di una creatura mostruosa), è necessario mettere da parte ogni tipo di logica ed affidarsi all’istinto dei sentimenti più autentici. Non a caso The Shape of Water parla soprattutto di amore.
È una favola ultraterrena, una storia d’amore pura e semplice. Un racconto in cui i buoni sono buoni e i cattivi sono cattivissimi (non a caso è ambientato sullo sfondo dell’America della Guerra Fredda), in cui i sentimenti fra una donna delle pulizie muta e un mostro solo all’apparenza spaventoso sono dipinti con gentilezza e in cui la semplicità diventa purezza. Un antidoto grazie al quale il suo autore vorrebbe contrastare il cinismo imperante e l’ossessione deleteria nei confronti del progresso, del futuro. Una dichiarazione di poetica, un testamento visivo: la messa in scena di un’idea.
Ed è ovvio che quando un mondo, un universo o un immaginario è costruito a partire dai sentimenti, quando quindi è con l’amore che si creano e rappresentano le idee, il rischio è apparire fin troppo ingenui e artificiosi. Eppure, senza troppi giri di parole, Guillermo Del Toro invita semplicemente a guardare e credere - nulla di più.
Il suo discorso e la sua rappresentazione partono dal cinema e dal suo passato (il passato del cinema hollywoodiano, ovviamente): le idee, secondo The Shape of Water, nascono dalla forma di racconto più pura, a cui bastano la forza e l'immediatezza del gesto. È infautti solo attraverso le immagini dei film classici, e in particolare dei musical in bianco e nero degli anni Trenta e Quaranta, che l’idea di cinema di Del Toro può prendere vita; può diventare personaggio ed essere salvata.
The Shape of Water diventa così un passaggio obbligato nella filmografia del regista, dopo il fallimento (magari anche solo commerciale) di Crimson Peak; una commistione di elementi derivanti da un preciso immaginario culturale e cinematografico, tra citazioni e riferimenti, auto-citazioni e auto-riferimenti.
Una lettera a cuore aperto. The Shape of Water non è niente più di questo, ma niente meno di questo.