Basandosi sull’omonimo libro di Shrabani Basu, Stephen Frears torna a muoversi in una corte monarchica a undici anni di distanza da The Queen (2006). Abbandona però i pettegolezzi e la riflessione sui media per raccontare la storia vera dell’insolita amicizia tra la Regina Vittoria e il suo segretario personale Abdul Karim, un comunissimo indiano privo di nobile discendenza. Un cambio epocale, un cambio narrativo, ma soprattutto un cambio cinematografico che rende poca giustizia al regista inglese.
Se la mano di Frears risulta evidente nella messa in scena e nell’esecuzione tecnica, la vera lacuna del progetto sta nella totale assenza di uno sguardo critico e autoriale. Lavorando sulla messa in scena, sulla ricostruzione minuziosa degli spazi, sulla cornice perfettamente oliata e sulla performance dell’instancabile Judi Dench, Frears si adatta in modo pigro e canonico al progetto storiografico.
Vittoria and Abdul è un film talmente prevedibile e politicamente corretto da fare quasi tenerezza. I tempi sono perfettamente calibrati, lo humor inglese costantemente al centro e i buoni sentimenti non mancano. Eppure il paratesto non riesce mai a nascondere il vuoto che il progetto cela sotto la superficie.
E pensare che gli spunti per dare corpo a una metafora contemporanea c’erano tutti: l’incontro di due mondi opposti, il ruolo fondamentale ma inconsapevole della cultura, l'invito a non arroccarsi dietro un glorioso passato superato dai tempi che cambiano. Invece nulla di tutto questo viene approfondito, se non in maniera buonista e frettolosa, andando a dare maggiore credibilità all’ipotesi che ormai Frears abbia trovato una dimensione accomodante, rilassata e poco impegnativa, come purtroppo già confermato nel precedente e trascurabile Florence.