Fiore, Cuori puri, Manuel ma anche e soprattutto Suburra, prima il film e poi la serie… la malavita grande e piccola, la marginalità, una città che è rappresentata come un universo a sé stante, uno Stato nello Stato con le sue regole, le sue dinamiche, le sue leggi ma anche – e soprattutto – un luogo dell’immaginario. La periferia romana terra di nessuno è diventata oggi quello che erano le città dei polizieschi italiani degli anni Settanta, terra di calibri 9, città violente, nere, roventi, tremanti... città che nessuno vedeva davvero ma che tutti riconoscevano come reali proprio nel momento in cui diventavano luogo legittimato dalla messa in scena, dalla narrazione, dalle rappresentazioni che le eleggevano a protagoniste proprio dell’immaginario.
Quella Roma, quella periferia – umana e geografica – è La terra dell’abbastanza, titolo programmatico del film d’esordio dei fratelli Damiano e Fabio D'Innocenzo, selezionato dalla Berlinale nella sezione Panorama.
In questa terra lunare tanto paesaggisticamente quanto umanamente ci sono anche le persone che cercano di cavarsela, più o meno in modo normale.. Mettendo con fatica insieme il pranzo con la cena, mandando i figli a scuola, pensando possano trovare un lavoro migliore, sfangandosela con il miraggio di poter svoltare, in qualche modo. A questo tipo di famiglie appartengono Mirko e Manolo, compagni di scuola (l’alberghiero), amici da sempre, fratelli di sangue che, una notte, in modo del tutto fortuito, investono un uomo. Che fare? La vita, comunque, non sarà mai più quella di prima.
È cosi (grazie all’intervento del padre di uno di loro, interpretato da Max Tortora), l’accadimento che sembra far scivolare le loro vite lanciate verso il futuro nel buio della colpa si trasforma invece per i due ragazzi in una sorta di opportunità, che implica però il diventare criminali. Perché presa una vita (anche se in modo casuale), la frontiera è varcata e dare la morte non è più un atto inimmaginabile e il senso di colpa diventa un qualcosa di evenescente. “Non hanno consapevolezza” dice uno degli uomini del malavitoso (Luca Zingaretti) per il quale si sono messi a lavorare e questo fa di loro dei killer provetti; non hanno consapevolezza e non subiscono il giudizio di nessuno, se non, in fondo, quello di se stessi.
Mirko e Manolo, come Manuel, Daphne, Josh, Stefano, Spadino, Aureliano sono i giovani, belli, coatti, protagonisti di questo nuovo genere del cinema e della televisione italiani, quelli che sostituiscono i commissari con il volto di Marizio Merli e i malavitosi con la faccia di Tomas Millian o di Henry Silva; la polizia non compare o quasi, “e’ guardie” non contano, contano i pezzi grossi e quello che rappresentano sostituendosi alla legge e allo Stato, contano le famiglie – in un modo o nell’altro – e soprattutto contano i ragazzi, questi qua, con la parlantina spiccia, il cuore buono, i tatuaggi, gli occhi grandi, e la vita segnata… Questi per i quali, in quella terra, in fondo nulla sarà mai abbastanza.