Questa sera su Rai 3 in prima serata, alle 21.10, un grande film molto recente, 1981: Indagine a New York di J.C. Chandor con Oscar Isaac e Jessica Chastain! Ecco la recensione di Chiara Borroni.
«You’re at war here», dice Anna Morales al marito Abel, quando lo vede – o meglio lo crede – vacillare, annaspare nel mare di petrolio che li circonda. C'è un guerra in atto ed è quella del mercato di carburante nella New York dei primi anni Ottanta.
C'è una guerra in atto qui come in ognuno dei tre film che J. C. Chandor ha scritto e diretto affermandosi con una personalità netta.
Quelle che racconta Chandor sono guerre in cui non si spara un colpo (o quasi), in cui non c'è violenza esplicita (o quasi), in cui non succede niente (o quasi). Non sono guerre psicologiche, sono conflitti veri, reali, potentemente drammatici, estremamente passionali anche se non carnali. Non sono i fatti, o il sangue o gli obiettivi da raggiugere, ma è la tensione a inchiodare lo sguardo. Una tensione costruita da immagini pulite, precise, eleganti; da un tappeto di suoni e di musiche che obbligano ad ascoltare e a immergersi completamente nel corpo del film; da attori impeccabili, cui basta il movimento di un solo muscolo del volto per rendere credibile la loro interpretazione.
Quello che ne viene fuori è un cinema che ha nella sua natura una sobrietà e un'efficacia e, soprattutto, una “moralità” fuori dal comune. J.C. Chandor è un regista profondamente morale, uno che il cinema non lo sfrutta, non lo abusa, non ne fa uso improprio mai. E così, in fondo segnate da una decisa moralità, sono le sue stesse creature – persone più che personaggi. Persone di cui lo spettatore crede di sapere tutto (chi sono, cosa sono, se broker senza scrupoli, navigatori intrepidi o affaristi con la smania dell'affermazione), anche quando non ha capito nulla dell'affare in cui sono immischiate. Persone che, come nella realtà, probabilmente non è possibile conoscere davvero, perché possono essere ciò che sembrano, oppure esattamente il contrario, o magari ancora possono sorprendere e basta.
E dunque, in questo universo ambiguo e indefinito, cosa può essere detto realmente immorale? Quale comportamento? Quale gesto? Come reagire di fronte a quel foro di proiettile tappato con il fazzoletto prima di ogni cosa, prima che macchi immoralmente di nero il candore del successo e della realizzazione? Forse chiunque metterebbe quel fazzoletto: per non perdere soldi, per non tradirsi, o anche “solo” per non sporcare la perfezione del quadro.
E dunque, ancora, di cosa si ha bisogno per dire cosa è morale o definirsi tali? Come d’altra parte sosteneva Tony Montana in Scarface: «Voi non siete buoni. Sapete solo nascondervi, solo dire bugie. Io non ho questo problema. Io dico sempre la verità, anche quando dico le bugie». Oppure, come dice Anna Morales: «Mio marito è un uomo rispettabile, non confondete la sua onestà per debolezza: merita tutto il rispetto... Oggi ci avete mancato davvero di rispetto!». Abel Morales è infatti, in fondo, un uomo per bene.
La questione posta da Chandor in 1981 - Indagine a New York in fondo è questa: le persone, come il cinema stesso, possono essere per bene anche quando sono immerse nella melma. Come a dire, kantianamente, che la volontà del soggetto è in fondo causa prima del suo agire indipendentemente (o quasi) dal mondo che lo circonda. E Chandor è un regista che fa film per bene, con grande determinatezza, grande rigore formale, grandi attori, completamente nella logica del mercato, eppure senza furberie o calcoli. Per questo il suo cinema è intelligente e non furbo, elegante e non compiaciuto, intenso e non posticcio. Per questo il suo è, semplicemente, Cinema.