Questa sera su Iris, alle 23.40, un film forse da rivalutare e riscoprire: Birth - Io sono Sean di Jonathan Glazer, con una Nicole Kidman (capelli corti e mori) forse mai così bella e intensa. Ecco un frammento della recensione scritta da Johnny Costantino per il n. 441 della rivista, quando il film uscì in sala nel 2004.
Acclamato regista di videoclip (Radiohead, Blur, Nick Cave) e spot pubblicitari (Nike, Levi’s, Guinness), Jonathan Glazer esordisce nel lungometraggio nel 2000 con Sexy Beast, vitale crime comedy in cui coniuga con notevole disinvoltura registri stilistici e livelli narrativi divergenti: la fotografia fluttua tra il caldo ocra e il freddo piombo nei passaggi dal plein air della Costa del Sol al notturno londinese, mentre la sintassi ora si forsenna al ritmo sincopato di una rapina subacquea, ora diviene funzione di primi piani che enunciano la psicologia dei personaggi; e funziona pure l’ardito contrappunto tra la dominante dimensione realistica (il forzoso ritorno nel giro del gangster a riposo) e gli squarci onirici in cui il protagonista si vede incalzato da una mostruosa creatura antropomorfa con tanto di orecchie da coniglio e mitra in mano.
Dopo aver dato fondo, nella sua traboccante opera prima, a tutta una serie di tentazioni e suggestioni estetiche, con Birth il regista inglese decide di cambiare rotta, lavorando per sottrazione e intensificazione dello sguardo, evitando così di esporsi al rischio di sclerotizzare il suo immaginario in una rappresentazione isterica. La preparazione del film è meticolosa; attenta e ben calibrata la scelta del cast, sia tecnico che artistico. Dopo aver rispolverato una propria idea precedente a Sexy Beast, Glazer inizia a lavorarci sopra con Jean-Claude Carrière (storico sceneggiatore di Buñuel che annovera, tra le altre, collaborazioni con Godard, Brook e Forman), affiancato in seguito da Milo Addica (Monster’s Ball). La fotografia viene affidata al talentuoso Harris Savides (Elephant), il quale immerge la scena in un’atmosfera cool materiata da superfici levigate da una luce gelida, in completa sintonia con gli eleganti e perturbanti spazi del quotidiano predisposti dallo scenografo Kevin Thompson (Little Odessa). Frutto di tanto valenti mani, l’involucro è agito da Glazer con flemma quasi ieratica, secondo i dettami di un occhio che esige di spendere sui corpi il tempo necessario affinché affiorino latenze sommerse. Il risultato è un’opera visivamente coesa ed emotivamente magnetica.
Intorno a questo nucleo pulsante, quella che si preannuncia come una solida struttura a suspense di stampo hitchcockiano si sfarina come crolla un castello di carte, a causa dell’assenza di diversioni e rivolgimenti. L’enigma della reincarnazione svapora infatti col dissuggellarsi di un segreto del quale vengono approntati, nelle prime battute, il locus delicti e troppo univoci indizi: prima il raccordo di sguardo tra Sean e Clara nella hall del grattacielo dove si festeggia il fidanzamento di Anna; quindi la soggettiva del bambino che segue Clara nel parco dove sotterra il (turpe) regalo – soggettiva veicolata da immagini che si ripeteranno in un ridondante flashback, dopo il quale l’antefatto trova la sua coerente spiegazione.
Non per forza, tuttavia, l’esplosione a salve del colpo di scena rappresenta una falla nell’economia di un film come Birth, nella misura in cui l’ingranaggio rotto può far sì che spicchi tra le rotelle, con maggiore rapidità, il contenuto di verità dell’opera. A lume del sovvertimento erotico che rompe gli argini della storia, le verità che contano divengono quelle dell’emozione che prende corpo dentro e oltre il quadro. Al cospetto dell’immagine, passano in secondo piano i quesiti legati alla possibilità di una trasmigrazione di cui il presunto vettore si professa cosciente anima, rispetto alla credibilità sensibile che guadagna ai nostri occhi l’assurdità del fatto che una donna come Anna s’innamori di un bambino che, sebbene dica di essere il marito e si dimostri dotato di intelligenza e qualità virili, resta pur sempre un bambino che fa cose da bambino, come continuare ad andare a scuola e consumare gelati e torte nei momenti decisivi. In tal senso, è eloquente la premessa fatta nell’incipit dalla voce off di Sean, a rintocco della sua ultima corsa: «Diciamo così: se perdessi mia moglie e il giorno seguente un uccellino si posasse sul davanzale della mia finestra, mi fissasse negli occhi e con tranquillità dicesse: “Sean, sono io, Anna, sono tornata”, beh che potrei dire, le crederei, o vorrei farlo; mi legherei a quell’uccellino. Ma al di là di questo, no, sono un uomo di scienza, non credo in queste sciocchezze». Come a ribadire: quali che siano le idee e le cognizioni sull’esistenza di cui ci facciamo carico, i sentimenti sono in grado di piegare qualsiasi evidenza.