Questa sera alle 21.15, su Tv8, Black Book di Paul Verhoeven, film che nel 2006 segnò il ritorno in Europa del regista olandese, dopo la lunga stagione hollywoodiana. Ripubblichiamo una frammento della recensione che Francesco Pitassio scrisse su Cineforum 462 (marzo 2007).
Black Book a differenza dei film statunitensi di Verhoeven non disloca le sue avventure nello spazio siderale e in un tempo futuribile – Robocop (id., 1987), Total Recall (Atto di forza, 1990) o il fulgido Starship Troopers (id., 1998); né in un ambiente verosimile, ma leggermente spostato – Hollow Man (L’uomo senza ombra, 2000); e nemmeno istituisce una diegesi a tal punto definita dai codici del genere cinematografico da risultare inverosimile – Basic Instinct (id., 1992). Il rientro in Europa è anche un ritorno alla Storia. Più esattamente, al piacere vagamente coprolalico di sporcare le pagine presunte intonse della coscienza condivisa. Era accaduto con Soldaat van Oranje (Soldato d’Orange, 1977), sul movimento resistenziale olandese; si era in parte ripetuto con Flesh and Blood (L’amore e il sangue, 1985), sapido imbrattamento dell’amor cortese e film di transizione verso l’America. Ma Black Book compie un giro di valzer in più, lasciando esausti ballerini e spettatori: la danza macabra questa volta coinvolge la resistenza olande- se, l’occupazione tedesca e la minoranza ebraica. Si salvi chi può (la vita).
L’ambizione abituale di Verhoeven è la dissacrazione: «Per quanto ci riguarda, il film è volutamente provocatorio. Nessuno ha mai detto prima dei tratta- menti riservati ai nostri prigionieri nel 1945. [...]. Anche nella Resistenza c’era della gentaglia. A vedere le loro immagini mentre catturano i nazisti olandesi, ti viene da pensare: non vorrei finire nelle mani di questa gente». L’ambizione paradossale del film è la veridicità del racconto. «Ispirato a fatti realmente accaduti», recita la didascalia iniziale. Tale ambizione è ribadita dalle osservazioni di regista e sceneggiatore.
Black Book per questo verso pretende di inserirsi con grazia pachidermica nel dibattito complesso sui movimenti partigiani europei e sulla persecuzione antisemita. Si vuole qui prescindere da una valutazione morale dell’universo di Black Book, e dalla sua conseguente collocazione politica: a mio vedere, rispondono a un processo di cooperazione testuale già designato dal testo. Attraverso una serie di accoppiamenti poco giudiziosi, il film lavora a suscitare il disagio e lo scandalo della purezza perduta e della associazione indebita – il rapporto carnefice/vittima è la figura consueta di questo ibridismo, da Il portiere di notte (L. Cavani, 1974) in poi...
E sul valore (morale) di libertà della scelta resistenziale, menti molto più lucide si sono espresse: «Il primo significato di libertà che assume la scelta resistenziale è implicito nel suo essere un atto di disobbedienza. Non si trattava tanto di una disobbedienza a un governo legale, perché proprio chi detenesse la legalità era in discussione, quanto di disobbedienza a chi aveva la forza di farsi obbedire». Si provi allora a disubbidire al- la consegna della veridicità. Ci si interroghi piuttosto sulla verità del testo.
La storia di Rachel/Ellis è l’esito di un atto di memoria: si tratta di un flashback collocato in apertura del film, a seguito di un incontro e di una fotografia. In visita al Kibbutz Stein nel 1956, Ronnie fotografa una classe in cui una donna svolge la propria lezione. L’origine del racconto è duplice: l’incontro tra due amiche passate, da un lato; una fotografia negata, dall’altro. Il ricordo è la verità soggettiva della protagonista, consegnata allo specchio d’acqua dinanzi al quale la donna riflette. Ma la verità è anche una questione superficiale e grossolana: una fotografia turistica scattata da Ronnie, una donna capace di passare indenne attraverso condizioni politiche e umane le più abiette, scevra da ogni preoccupazione morale. Per rispetto di una tradizione narrativa veniamo consegnati a una sola delle due donne, la meno discutibile. Ma Verhoeven ha già inaugurato i propri racconti mettendo al centro della inquadratura una prostituta; chi ricorda L’amore e il sangue? La memoria è subito questione indecisa: non contesa; rozza e troppo personale, al contempo.