Chicago di Rob Marshall

focus top image

Questa notte all'1:30 su Tv8 (canale Hd 508) Chicago di Rob Marshall, musical del 2002, vincitore di sei Oscar tra cui quello per miglior film, ispirato al musical Chicago di Bob Fosse del 1975. Su Cineforum 424 si trovano gli articoli di Ermanno Comuzio, dedicati rispettivamente al film di Marshall e al dark musical. Pubblichiamo parte del primo, invitandovi a recuperarli integralmente entrambi.


Non mollare la ribalta

Un musical al cento per cento. Revival, omaggio al passato, neo-musical, proposta di rinnovamento? Ciascuno può dire la sua. Un fatto è certo: se nel musical “classico” il contenuto è musica-danza-canto, non i fatti raccontati, qui la trama conta, e come! I contenuti non sono i “numeri” musicali, o meglio non sono soltanto quelli, hanno pari importanza i fatti, in un amalgama dove gli eventi sono esposti impastati insieme al giudizio che meritano. Il precedente immediato parrebbe essere un recente film europeo – Dancer in the Dark (2000), di Lars von Trier – più che il solido musical americano della tradizione, eppure Chicago partecipa proprio di quest’ultimo. Infatti, se anche qui si balla con un cappio attorno al collo, non si tratta di una trasfigurazione immaginaria della realtà ma della realtà, talmente paradossale da aver bisogno soltanto di una piccola spinta per trasformarsi in teatro, in circo, in music-hall. Una realtà, insomma, che è già spettacolo. Non per niente le radici del film affondano nella cronaca e nel palcoscenico.

[…]

Il “sexy stile” di Bob Fosse

Ora il quarantaduenne Rob Marshall mette mano a sua volta allo spettacolo e lo fa diventare film, debuttando come regista di cinema. Marshall, già ballerino e poi coreografo (ha debuttato come tale nel 1993 per la versione musicale, a teatro, di Il bacio della donna ragno), si considera allievo e seguace di Bob Fosse, di cui aveva già diretto in teatro Cabaret (1998). […] Lo si capisce subito fin dal primo “numero” del film, la presentazione di Velma (già il titolo: All That Jazz). Non si tratta solo di aver seguito passo passo lo spettacolo teatrale e di essersi basati per la coreografia a quella di Broadway, quanto di averlo fatto rivivere in una smagliante forma cinematografica, seguendo quel particolare stile di Fosse che qualcuno ha definito sexy stile: le ginocchia voltate in fuori o in dentro, le caviglie serrate, le dita dei piedi flesse, la schiena piegata, le anche spinte in avanti, i polsi rovesciati: senza dire delle bombette, dei guanti, delle calze che lasciano scoperte le cosce eccetera. La presentazione di Velma serve anche a introdurre nello spirito della vicenda, formulando un invito a «fare baldoria », a bere alcool, a «volare» dove nessuno è ancora stato, a godersi la vita insomma, perché «tutto il resto è jazz» (nel senso di casino, di confusione, o anche di spazzatura). [...]

I “numeri” musicali hanno un preciso riscontro in un giudizio impietoso sulla corruzione, la venalità, l’inconsistenza delle strutture giuridiche, gli inganni della legge, l’aggiramento della morale e così via (argomenti quant’altri mai attuali, nel senso esatto della parola, dai combattimenti fra gladiatori alle decapitazioni degli aristocratici ai “mostri” sbattuti in prima pagina e in televisione), e si impastano alle singole situazioni, non sono mai dei siparietti, episodi in musica che fanno da intermezzo capace di essere incorniciato in un esito a sé. Vedi per esempio la canzone di Roxie, all’inizio («That Funny Funny Man of Mine») che dopo aver cantato le lodi del paziente marito cambia di segno quando lui non sa seguirla nelle sue bugie e da “buffo tesoruccio” diventa un traditore, costringendola indirettamente a confessare di aver ucciso lei la vittima. Eppure il poveraccio rimarrà sempre dalla parte di lei, anche se ad un certo punto lei non lo degna di uno sguardo, e confesserà cantando, truccato come un clown triste («Mr. Cellophane»), che a lui non bada nessuno, che gli sembra di essere invisibile e dovrebbe farsi chiamare “Mr. Cellophane”.

Brecht e il jazz di Chicago

[…] i singoli “numeri” (citiamo anche, fra gli altri, la presentazione di Mame, la carceriera, il «Cellblock Tango» delle carcerate, il finale balletto a due con i mitra impugnati e davanti allo schermo di lampadine) colgono il loro assunto attraverso una inventiva superba dal punto di vista della rappresentazione in cui varie discipline, del teatro e del cinema, il coinvolgimento delle canzoni e il virtuosismo dei balletti si fanno ammirare come se scoprissimo per la prima volta la magia di uno spettacolo musicale, pur accorgendoci benissimo dei voluti riferimenti. Nella biondità e nei costumi a pailettes argentate di Roxie ritroviamo Marilina, nella frangetta bruna di Velma un po’ di Louise Brooks e di Cyd Charisse, nei “numeri” a due riferimenti a Gli uomini preferiscono le bionde, in certe situazioni ritroviamo atmosfere da Prima pagina; e quanto allo stile ci si richiama a diversi precedenti.

Occorre sottolineare anche le eccellenti prestazioni degli attori. Se Catherine Zeta-Jones (di una energia senza pari) e Richard Gere hanno già praticato il ballo e il teatro musicale, Renée Zellweger era digiuna e ha preso lezioni di danza e di canto. Interessante il fatto che gli interpreti cantino con la propria voce, e anche se l’estensione è ridotta in chi (come Gere) non è propriamente un cantante di professione, il loro “timbro” diventa drammaticamente più efficace che nel caso di voci musicalmente educate.

Naturalmente lo stile musicale è jazz, o meglio un linguaggio jazzy: Kander (classe 1927, compositore e accompagnatore di fiducia di Liza Minnelli, autore delle musiche di Cabaret e di canzoni come New York, New York) è molto vicino al jazz e si adegua perfettamente allo stile “angoloso” di Fosse. [...]

Insomma, questo Chicago può essere definito un omaggio al passato così come un neo-musical, un tributo al teatro come l’esaltazione del cinema, il prodotto non cambia. Ed è un buon prodotto, dove talenti autentici di oggi e di ieri si danno la mano non per resuscitare un “genere” dato per sepolto ma per continuare, rinnovandolo, un discorso che trapunta tutta la storia del cinema. Un fiume carsico, forse, ma non per questo meno utile per la nostra sete.