Forrest Gump di Robert Zemeckis

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Questa sera, alle 21.15 su Rete 4, un classico del cinema americano contemporaneo: Forrest Gump di Robert Zemeckis. Che venne presentato a Venezia nel 1994 e del quale scrisse (sul n. 338 di Cineforum) il grande Franco La Polla.


Capita raramente di vedere un film in cui la storia di una nazione (o parte di essa) si identifica perfettamente con quella del protagonista, di ammirare la capacità di ridurre lo spirito di un'epoca a qualcuno che ha nome e cognome. Ce l'ha fatta oggi il goliardico Zemeckis rivelando un suo mondo poetico che ci ha fatto digerire tutti i ritorni al futuro del recente passato. Forrest è la cattiva coscienza di un paese troppo freneticamente in movimento per poter pensare a se stesso.

E toccherà proprio a un giovane invalido il destino di corrergli dietro, riuscendo addirittura a superarlo. Forrest impone all'America l'ingrato compito di guardarsi in faccia: evidenzia il ridicolo di Johnson e Nixon, segue a menadito ogni dettato civico-morale che gli indica la sua nazione rispondendo esemplarmente ad ogni richiesta. Ma nel percorso necessario all'espletamento di questi doveri si lascia dietro, senza accorgersene, una traccia che è la vera essenza dello spirito americano dai '40 ai '70, la secrezione che ne compendia ogni ossessione e ogni mania, ogni malafede e ogni trucco.

Il mito del "ragazzo tutto americano" vi viene celebrato nel momento stesso in cui la realtà delle cose emerge finalmente senza ambiguità e senza dubbi. Da povero bianco del Sud, ritardato proprio come tanti meridionali che abbiamo trovato in Faulkner e Caldwell, Forrest diventa eroe nazionale in Vietnam, giocatore di football imbattibile ed imbattibile giocatore di ping pong della squadra che affronta la Cina nello storico incontro, proprietario di barche da pesca, partner nell'industria dei computer Appie, e così via. Ma tutto avviene senza l'usuale celebrazione mitologica del self made man; al contrario, il caso riveste un ruolo decisivo, ma d'altra parte non tanto da oscurare la risolutezza, la testardaggine che i semplici e concreti insegnamenti materni han- no inculcato nel giovane.

Attraverso arditi e splendidi tour de force tecnici, lo vediamo con almeno tre presidenti e addirittura all'entrata della scuola dove in Alabama per la prima volta la Guardia Nazionale impose l'integrazione razziale. Forrest è l'America, è la sua parte migliore, ma non, secondo l'usuale oleografia, in quanto giovane sano, bello, emblematico del mondo nuovo che l'America si è sempre vantata di essere; bensì proprio perché malato, idiota, irriducibile sprovveduto che però agisce in base a un principio (è stupido solo chi si comporta da stupido…).

Si respira per tutta la pellicola un'aria familiare, domestica che è forse la componente più originale e vera dell'opera, che rimanda a un senso della terra sin troppo celebrato dalla retorica hollywoodiana, ma mai trattato con la verità che si legge fra le righe di questo capolavoro, cui la bravura di Tom Hanks aggiunge il necessario tocco di convinzione e di tranquilla tristezza.