Ricordando Miloš Forman, il grande regista cecoslovacco recentemente scomparso, questa notte, su Rai 3, alle 2:15 andrà in onda Gli amori di una bionda. Opera presentata a Venezia nel 1965. Su Cineforum 58 (acquistabile qui) Enzo Natta scrisse un articolo che riproponiamo qui sotto.
Presentato lo scorso anno alla Mostra di Venezia, dove riscosse un buon successo, Gli amori di una bionda di Miloš Forman (seconda opera del giovane regista cecoslovacco che due anni fa vinse a Locarno con L'asso di picche) è un affresco tenero e delicato, triste e gaio nello stesso tempo, del mondo giovanile; un quadro d'ambiente e un ritratto di costume tracciato con sincero e acuto realismo attraverso la messa a fuoco della piccola realtà quotidiana; una vicenda psicologico-sentimentale che per la sua naturalezza e la sua spontaneità si contrappone apertamente alla falsa cornice caramellosa della commedia americana e alla volgarità della neo-pochade all'italiana; un film dolceamaro spiritoso e intelligente, che esplora con sentita partecipazione il mondo della nuova generazione, i suoi sogni, le sue illusioni, il suo passaggio all'età adulta, spesso brusco e spiacevole.
In un piccolo centro industriale della Cecoslovacchia, oltre diecimila ragazze lavorano in una fabbrica di scarpe. In quella grigia cittadina di provincia, ammantata di neve e schiacciata da un cielo perennemente plumbeo, le ore di tempo libero trascorrono vuote e noiose. Il rapporto è di sedici donne per ogni uomo, e le ragazze della fabbrica, sia sul lavoro che nel pensionato che le ospita, non fanno che sognare l'arrivo del principe azzurro, come tutte le ventenni del mondo.
Preoccupato della loro felicità, ma anche del ritmo della produzione che evidentemente risente dei languori e dei sospiri delle giovani operaie, il vecchio capofabbrica, metà paraninfo, interviene presso le autorità militari perché trasferiscano nella cittadina un contingente militare. Ma la zona non ha importanza strategica e invece di giovani e balde reclute arriva sul posto un distaccamento di riservisti quarantenni con ormai tranquille abitudini borghesi, pancetta prominente e scarsa attitudine a fare le ore piccole nelle sole da ballo. La situazione non è molto allegra per le ragazze speranzose di conquistarsi un marito, ma una di queste, Katina, sembra più fortunato delle altre quando viene fatta oggetto di premurose attenzioni da parte di un giovane pianista. La ragazza cede alle lusinghe del giovanotto, crede alle sue bugie c prende alla lettera una frase gettata là, tanto per dire: «Vieni a trovarmi a Praga». Insensibile alla «predica collettiva» dell'assistente sociale e alle scenate del fidanzato, un bamboccio con la vocazione del teddy boy, Katina parte alla volta di Praga e a sera inoltrata si presenta a casa del pianista. Questo è temporaneamente assente, impegnato in nuove (e pericolose) avventure dongiovannesche, e Katina viene trattenuta dai genitori di lui, la cui curiosità ha il sopravvento sull'apatia e sull'indifferenza. Dapprima il solito imbarazzo per l'inaspettata situazione, poi le prime domande, infine la preoccupazione della madre per quello che diranno i vicini e una bella ramanzina come conclusione dell'interrogatorio. Il padre non se la sente di lasciare la ragazza in mezzo alla strada, specialmente a quell'ora, e le permette di pernottare in casa. A notte tarda, dopo essere stato scambialo per un ladro nel corso del suo passatempo preferito, il pianista rincasa. Sorpresa: «Toh! Chi si vede!». Precauzione: «Quando riparti?». Menzogna: «La conosco appena», dice ai genitori che l'hanno preso in disparte, «L'ho vista soltanto una volta. È una matta. Non le ho mai detto di venire qui». Katina, dalla sua stanza, ode tutto. Piange. Non fa scenate, non spara sul pianista, se ne va in silenzio. Torna alla vita della fabbrica, alla grigia cittadina di provincia. Le amiche le si fanno attorno: come è andata? Come ti hanno accolto? Quando vi rivedrete? Bene, o braccia aperte, presto risponde Katina cercando di difendere il suo amor proprio e le illusioni tradite. Per Katina tutto ricomincia come prima. Forse è più triste, ma con una nuova coscienza ricavata da quell'amara esperienza. La ragazza si è fatta donna; l'età dei sogni e delle fantasie è finita.
Con uno stile vivace e una sincera ispirazione, Forman ha realizzato un'opera lucida e ricca di umanità, mettendo in risalto il desiderio di comunicativa, di affetto, di amore per una generazione irragionevole che rifiuta le prediche degli adulti convinta che queste siano motivate soltanto dal pregiudizio, e che alla fine sconta a caro prezzo il fio dei propri colpi di testa, avventati e impulsivi. In questo quadro d'ambiente, Forman mantiene coraggiosamente l'equilibrio fra ironia e dolcezza, non cede al facile bozzetto, evita il racconto stranamente psicologico, puntando soprattutto sulle espressioni, sui gesti, sugli atteggiamenti, sulle emozioni dei protagonisti colti nella loro intima realtà quotidiana.
Per questo, giustamente, si è parlato di identità di vedute con Olmi e Truffaut: un'identità di vedute che si manifesta non soltanto nel quadro, ma anche nella cornice che completa i caratteri dei protagonisti attraverso un ritratto ambientale fatto di una folla non anonima, ma tratteggiata come il vecchio capofabbrica, i tre riservisti, il padre e la madre del pianista. Personaggi di contorno, ma vivi, autentici e tenuti lontano dalla macchietta.
Inoltre il film di Forman è chiaramente indicativo per il suo senso di rottura, per il suo anticonformismo che reagisce all'ottimismo ufficiale del regime senza cadere nella polemica o nella discussione ideologica. Per il suo contrapporsi alla idilliaca tematica della felicità della gente semplice prospettata invece dal sovietico A zonzo per Mosca, per il suo clima poetico che rivela l'esistenza di una sconcertante problematica umana e individuale là dove essa sembrava essere stata assorbita e risolta da ragioni politico-sociali.