Questa sera su Paramount Channel, alle ore 21:10, andrà in onda Green Card. Commedia diretta da Peter Weir, con Gérard Depardieu e Andie MacDowell. Su Cineforum 303 (acquistabile qui), Ermanno Comuzio scrisse una recensione che ripubblichiamo per l'occasione.
Sarebbe una commedia come tante se non avesse due motivi che spingono a considerarla un po' “Speciale”: il nome del suo regista e il suo “detoun” finale.
Il regista è l'australiano Peter Weir, che dopo alcune pellicole di fascinoso impatto girate in patria si è fatto “americano”, e con L'attimo fuggente si è imposto in tutto il mondo. Mantenendo qua e là qualche brivido di quel suo senso dell'arcano che sembrava contraddistinguerlo. In Green Card cambia decisamente registro, anche se in realtà questo film è stato scritto prima di L'attimo fuggente, pensato su misura per l'attore francese Gérard Depardieu nel suo esordio nel cinema americano (è nell'attesa della “combine” produttiva che Weir ha girato intanto quel film che avrebbe dovuto essere interlocutorio e che ha ottenuto invece quel successo che sappiamo). La storia è quella di uno straniero che per rimanere a New York deve trovare una sistemazione matrimoniale, e quella di una americana che per ottenere un certo appartamento da sogno (dotato di una enorme serra, proprio quella che ci vuole per i suoi esperimenti di botanica) intende a sua volta stipulare un matrimonio perché in quella casa accettano solo coppie sposate. Mentre in Bagdad Café (per dire di un altro film euorpeo-americano in cui gioca da protagonista la “green card”, il certificato che permette ad uno straniero di risiedere negli States) il matrimonio di convenienza è situato alla fine, ed è anche condito da affetto, qui la cerimonia apre la storia, ed è esente da sentimenti. Però, trovandoci in una commedia hollywoodiana, si sa che l'automatico sviluppo dello spunto iniziale porterà dal calcolo all'amore, attraverso quel mare di bisticci che divide i due protagonisti, ovviamente assai diversi e dapprima insofferenti l'uno dell'altro.
Ma, dicevamo, c'è il finale. Vigliaccamente, dopo che tutti gli elementi corrono canonicamente verso l’"happy end”, calibrato e centellinato con cura, una sterzata porta inaspettatamente ad uno scioglimento drammatico, con una separazione invece che con un congiungimento, anche se tale momento coincide con quello della “rivelazione”: i due si accorgono di volersi bene. Amarsi e dirsi addio è tutt'uno. C'è da aggiungere, a proposito di differenze, che queste sono più marcate che mai, e che stavolta l'ignorantotto è l'europeo e non viceversa, un Depardieu che dopo il sanguigno Danton e il colorito Cirano ci dà la misura, con la sua presenza orsesca e forforosa (sembra sempre di più un disegno di Altan) di come siano cambiati i “primi amori" dal tempo dei John Barrymore, dei Cary Grant, dei William Powell.