Questa sera su Rete 4 alle 21:15 L'ultimo samurai, film del 2003 di Edward Zwick con protagonista Tom Cruise. Vi riproponiamo (non integralmente) quanto scrisse Luca Malavasi su Cineforum 432.
Palingenesi d’oltremare
Il parallelismo appare un po’ azzardato, e forse ingeneroso nei confronti del modello greco (con sospetto di “ruberia” mitologica), ma è proprio su di esso che si regge la critica alla guerra (non la sua condanna) che informa L’ultimo samurai. Si tratta del riferimento alla battaglia delle Termopili [...]. L’episodio, vero e proprio simbolo di puro eroismo per la memoria e la cultura occidentali, finisce per funzionare da modello d’azione per le poche centinaia di samurai che, nella bella sequenza finale del nuovo film di Zwick, sfidano l’esercito di metallo e divise tutte uguali dell’imperatore giapponese. L’appropriazione e, soprattutto, l’esecuzione del modello, al tempo stesso, chiudono il cerchio e promettono un’assoluzione anche in rapporto al passato del protagonista, il colonnello Nathan Algren, reduce da quella specie di anti-Termopili che è stata la guerra contro gli indiani, esemplificata, non a caso, dal ricordo dell’episodio di Little Big Horn, quando poco più di duecento americani morirono combattendo quasi tremila Sioux, guidati dalla follia del generale Custer.
Insomma, Hollywood e le sue geometrie al meglio della forma, fra modelli e ideologia. I samurai come gli spartani, all’opposto degli americani. A fungere da problem solving fra due diversi modi di inquadrare il problema della guerra, sul crinale sottilissimo che separa l’eroismo dalla follia, il colonnello Algren, personaggio di pura fantasia che però corrisponde alla perfezione al profilo del frontiersman che, proprio all’indomani dell’ultima grande battaglia contro gli indiani, senza più alcuna wilderness da conquistare, si ritrova, molto semplicemente, disoccupato [...].
Il vecchio e il nuovo
Le Termopili, del resto, stanno lì a rappresentare non soltanto un modello di intatto eroismo guerriero, ma anche lo schema e la logica della guerra premoderna, irriproducibile sul campo di battaglia invaso dalle armi automatiche: non a caso, nello scontro conclusivo, Zwick introduce fra le armate giapponesi la classica inquadratura della guerra tecnologica, figura ricorrente del war movie da Kubrick a Malick, ossia la semi - soggettiva della mitragliatrice, senza più volti e senza più corpi. In effetti, la guerra civile che si consuma fra samurai e forze imperiali sullo sfondo della modernizzazione del Giappone serve soprattutto a mettere in scena il conflitto fra valori tradizionali e spirito di rinnovamento nel quadro della seconda rivoluzione industriale. [...]
In questo senso, L’ultimo samurai è soprattutto un film sull’avvento della modernità e sul costituirsi della società industriale. In particolare, sul modo in cui l’avanzata del nuovo riconfigura il rapporto del presente con il passato, la tradizione, la memoria. [...]
Rispetto a questi precedenti, la dislocazione geografica del nuovo film serve a scontornare con più evidenza la complessità dei rapporti fra vecchio e nuovo, poiché alla società giapponese che guarda al modello occidentale e cosmopolita di progresso si oppone la struttura conservativa di una casta guerriera che è poi una società in miniatura, tutrice della memoria degli antenati e dei loro riti e insegnamenti. Dislocazione che, grazie alla provenienza e alla storia di Algren, permette inoltre di impiegare l’antinomia per parlare anche della situazione statunitense, secondo la classica formula del western “post-coloniale”, da Piccolo grande uomo a Balla coi lupi, dove il problema, per l’appunto, ruota attorno alla dissipazione della cultura e della società pellerossa sotto l’urto della civilizzazione americana e dove l’opposizione vecchio/nuovo non pone solo interrogativi sulle possibili forme di continuità o di discontinuità fra passato e presente ma, più radicalmente, invita a riflettere sull’esistenza stessa di legami di parentela fra la cultura degli indiani d’America e quella dei “nuovi” americani. Il tormento di Algren risiede proprio qui, nella sensazione di aver contribuito a dissipare un tesoro o, per riprendere il parallelismo, di aver combattuto alle Termopili dalla parte sbagliata. Perché la guerra contro gli indiani, grazie all’exemplum offerto dalla situazione giapponese, finisce col diventare una sorta di guerra fratricida, dove i figli hanno sterminato i padri senza riconoscerli, hanno celebrato falsi miti e smarrito, prima di comprenderla, la propria origine. [...]
Il vecchio accanto al nuovo
Questo, in sintesi, il problema: come fare posto al nuovo senza dover per forza cancellare il vecchio? [...] Ed è proprio sul campo di battaglia su cui si chiude il film che il modello eroico e identitario offerto dall’episodio delle Termopili e il conflitto violento fra vecchio e nuovo trovano un punto di incontro e di equilibrio, in virtù del quale l’insegnamento che sprigiona dal primo può rivelare tutta la sua operatività nella soluzione del secondo. Perché su quel campo, alla fine, si celebra soprattutto un modello di integrazione e di dialogo fra vecchio e nuovo o, meglio, fra tradizione e rinnovamento e, al tempo stesso, se ne riconosce la necessità ultima, che è poi quella di mantenere intatta la forza della memoria e la sua possibilità di agire sul e interagire con il presente.[...] Certo, nel suo delicato equilibrismo fra fuga mitica e revisionismo storico, L’ultimo samurai rischia a più riprese di scivolare nella pura celebrazione dello spirito guerriero, con l’alibi del sacrificio e della missione civilizzatrice sempre in agguato, e con la volgare bilancia del profitto pronta a sotterrare il rimpianto. Ma rispetto a tanti war movie vecchi e nuovi, il film di Zwick è sicuramente meno monolitico, più problematico e “incarnato”. E per questo riesce anche ad aggirare il rischio dell’appropriazione indebita del mito da parte della fiction.