Stasera alle 23:55 su IRIS (canale 22), La Migliore Offerta il penultimo film del regista premio Oscar Giuseppe Tornatore. Certamente non un capolavoro, ma tuttavia un film «che sarebbe ingiusto sottovalutare» come scriveva Rinaldo Vignati su Cineforum 521.
Il potere delle immagini
[…] La visione di questo film ci ha portato alla memoria un libro: Il potere delle immagini di David Freedberg (Einaudi,Torino 1993). Qui le analogie ci paiono più profonde, tanto che il film sembra talvolta (ipotesi azzardata) la traduzione narrativa di alcuni passaggi del saggio, sul quale può pertanto essere utile una digressione. Al centro del denso volume di Freedberg, studio di storia e di filosofia dell’arte, c’è il tentativo di superamento delle frattura tra realtà e immagini che è al centro della teoria dell’arte occidentale e la volontà di confrontarsi con le reazioni (commozione, eccitazione, incitamento all’azione, eccetera) che le immagini suscitano in chi le guarda. Queste reazioni – è la tesi del libro – sono (da noi, persone colte e moderne) normalmente represse, perché le consideriamo «imbarazzanti, rozze, elementari» (pag. 13): [...] La riflessione di Freedberg (che, sulla scorta di Nelson Goodman, mira a reintegrare “emozionale” e “cognitivo”) evidenzia le limitazioni di questa prospettiva e propone di reintegrare nella nostra concezione dell’arte queste reazioni [...].
Nell’attività di esperto d’arte di Virgil Oldman troviamo una perfetta esemplificazione di quelli che Freedberg considera i presupposti della teoria dell’arte occidentale, con il suo bisogno di «assegnare quadri, sculture, e altre forme d’arte e immagini ai contesti, ai canoni appropriati» (pag. 638) e la «costrizione a stabilire se un oggetto sia arte oppure no, se appartenga a un museo o no», che è propriamente «ciò che offusca la nostra percezione» (pag. 639). Ma, quando si ritira nella stanza segreta, è il «coinvolgimento», è la «reazione connessa alla sessualità, al piacere voyeuristico» a prendere il sopravvento, esattamente ciò che la nostra istruzione ci impone di reprimere quando siamo di fronte a un’immagine (e di nascondere dietro “cortine fumogene” di letture iconografiche e valutazioni estetiche). Il viaggio che Virgil Oldman compie dentro se stesso – alla vigilia del suo compleanno, quando una candela che si consuma, enfatizzata da una prolungata inquadratura, si pone quale evidente memento mori – è, contemporaneamente, un viaggio nel “potere delle immagini”.[...]
Vista alla luce di questa riflessione, l’ultima opera di Tornatore, anziché segnare una cesura rispetto alle opere siciliane, appare come la loro naturale prosecuzione, un loro coerente sviluppo, in quanto mostra come il “potere delle immagini” di cui parla Freedberg non si eserciti solo sui ragazzini e sugli analfabeti di sperduti paesini siciliani (Nuovo cinema Paradiso, L’uomo delle stelle, Malèna), ma coinvolga anche persone colte e raffinate – anche se queste fanno di tutto per non doverlo ammettere (i quadri di Virgil sono collocati in uno spazio separato dal resto del mondo, al quale nessuno può accedere e che, significativamente, è diviso da tutto il resto dall’armadio in cui sono ordinati i suoi guanti, ossia il principale strumento di difesa dal mondo e dalla vita […]).
Riconoscere il “potere delle immagini” implica il dover «guardare più profondamente dentro noi stessi » (pag. 627). E qui – per proseguire con le analogie tra i due Tornatore – il percorso che Oldman intraprende dentro di sé assomiglia a quello che compiono i protagonisti dei film siciliani ripercorrendo, in modo più esplicito, meno ermetico, il proprio passato e i propri ricordi. La casa di La migliore offerta, con la sua presenza incongrua in mezzo alle costruzioni moderne della città che le sta attorno, appare chiaramente, fin da subito, un luogo della memoria, o comunque un luogo mentale, più che un luogo reale. Interessante è l’inquadratura della prima visita alla casa: mentre lui rimane dietro le sbarre del cancello, la macchina da presa, in una “pseudo-soggettiva”, le ha già oltrepassate, segno che dentro quei luoghi lui c’è già, o c’è già stato. In altre occasioni, Tornatore gioca con “pseudo-soggettive”: è il caso dell’inquadratura che, dall’alto delle scale, riprende Virgil che torna da Claire. Inizialmente l’inquadratura può essere scambiata per una soggettiva ripresa dal punto di vista di lei, cosa che invece non può essere perché, quando il controcampo inquadra la ragazza, questa è palesemente girata di spalle. La “pseudo-soggettiva” introduce dunque nella scena un terzo personaggio, che resta invisibile.
Come in altri suoi film, il “potere delle immagini” sta nella loro capacità di “trascendere la morte”. Il Tempo è il motivo dominante di questo, come di altri lavori di Tornatore (l’incombenza della morte è qui ricorrente: la candela già ricordata, il patetico tentativo di affrontarla con la tintura dei capelli, i rintocchi degli orologi che fanno da insistente sottofondo alle scene ambientate nel laboratorio di Robert, gli orologi del conclusivo locale praghese). Un uomo che sente approssimarsi la sua fine e che, davanti al timore di aver «consumato la vita banalmente» (per usare le parole del protagonista di Malèna), ripensa al suo passato, forse per cercare di «riscrivere», come dice Claire al telefono al suo editore «l’ultimo capitolo con un finale più positivo» […].
La vicenda che gli vediamo vivere al presente è probabilmente un rivivere il suo passato, un ripensare agli errori commessi, o le scelte non compiute, in passato (quel «Temevo che mi avessi abbandonata, come l’altra volta» con cui Claire lo accoglie quando viene ritrovata in soffitta, può essere un più veritiero resoconto del passato di Virgil di quanto non lo sia la descrizione che egli dà dell’infanzia in orfanotrofio, che suona falsa come certe sue perizie). Se questa ipotesi è corretta, quel terzo personaggio invisibile, presente attraverso la “pseudo-soggettiva”, sarebbe lo stesso Virgil che si osserva mentre rivive, con le sue fattezze odierne, una scena già vissuta nel suo passato e rimasta dolorosamente nella sua memoria.
Riflessione sulle immagini e sul loro fascino, riflessione sul proprio cinema (e forse anche sul rifiuto dei critici di “guardare dentro se stessi” e riconoscere il potere emotivo delle immagini?), sul tempo e la memoria, saggio di messa in scena “classica” (malgrado qualche eccesso caricaturale, qua e là): in La migliore offerta, dietro la brillante confezione internazionale, sospesa fra thriller e mélo, c’è un film sottile, che sarebbe ingiusto sottovalutare.