Questa sera alle 23:50 sul canale Nove del digitale terrestre: Nikita, il film che ha consacrato Luc Besson come autore del cinema di genere (non solo) in Europa. Riproponiamo un estratto della recensione a firma di Mariachiara Pioppo che pubblicammo ai tempi dell'uscita del film su Cineforum 302 (acquistabile qui) del marzo 1991.
Cinema di immagini perfette e calibrate, quello di Luc Besson. Cinema, il suo, dalla superficie levigata e traslucida su cui si riflettono storie singolari. Cinema, dunque, che si lascia guardare anche al di là dei suoi difetti, riscontrabili proprio in quell'inclinazione per la cura minimale delle immagini a cui non sempre corrisponde una pari attenzione nell'organizzazione dell'intreccio e nella definizione dei personaggi.
L'asfalto bagnato riflettente le luci bluastre della metropoli addormentata, i quattro «guerrieri della notte» che, ripresi dal basso verso l'alto, colmano lo schermo con la loro violenta arroganza, rivelano, fin dalle prime inquadrature, la mano sicura di Besson nel dar vita ad un'opera accattivante, spesso troppo vicina, nella propria perfezione formale, al video-clip.
L'uso del grandangolo, inoltre, magistralmente utilizzato nella scena del tribunale per comunicare non tanto una sensazione di straniamento, quanto l'idea di un'autorità oppressiva e invadente, ribadisce la sicurezza del regista nell'avvalersi di elementi formali tramite i quali esprimere intime sensazioni.
Certo, il pericolo insito in tale cinema è sempre in agguato. Se Nikita mantiene, infatti, un equilibrio di forma e contenuto nel primo tempo, lo perde progressivamente nel secondo. I troppi elementi messi in gioco – scaturiti sia dal plot noir, sia da quello melò – finiscono per intralciare lo svolgimento dei fatti e rendere lo scioglimento finale troppo faticoso.
Il concitato susseguirsi degli avvenimenti nella prima, lunga sequenza del film (la rapina e la sparatoria in stile «guerriglia urbana» tra un nugolo di sbandati-disadattati-drogati e una pattuglia di polizia munita delle armi più sofisticate; l'interrogatorio in commissariato e la condanna all'ergastolo) è funzionale alla caratterizzazione della protagonista. Rende, infatti, subito chiaro come Nikita sia potenzialmente capace di rinunciare al suo passato – marcio e inutile – e di accettare vita e identità nuove.
La sua falsa morte in carcere assume, così, il valore di morte reale della sua prima identità; parimenti, il suo risveglio in un luogo rischiarato da una fredda, abbacinante luce artificiale («È questo il Paradiso, signore?», chiede a chi si appresta a diventare il suo Pigmalione) equivale ad una sorta di seconda nascita.
Nikita descrive, dunque, un'educazione: un'educazione alla morte è vero che non può, tuttavia, come ogni altra forma di educazione o di percorso iniziatico, non reputare fondamentale l'eliminazione della precedente personalità. Il cinema, senza dubbio, ci ha da tempo abituato a innumerevoli «bagni adolescenziali» e, se vogliamo un modello o un archetipo al film di Besson, non fatichiamo certo a trovarne. L'ultimo Kubrick, Full Metal Jacket, vede, ad esempio, nell'adolescenza (naturalmente simbolica) di un gruppo di giovani reclute un modo nuovo per descrivere un'educazione alla guerra e al comportamento omicida che ne è diretta conseguenza.
E come in Full Metal Jacket si vogliono «confezionare» perfette «macchine per uccidere», così in Nikita si vuole forgiare un killer. La protagonista pare avere, infatti, tutte le carte in regola: ragazza selvaggia, solitaria e indipendente, Nikita è un soggetto ideale da rieducare.
Se, dunque, di educazione si tratta, si deve anche fornire una guida. Protettore, Pigmalione o istruttore – chiamiamolo pure come vogliamo – Bob appare una figura paterna agli occhi di Nikita, ponendosi come l'artefice della sua nuova identità.
Naturalmente il ruolo simbolico di padre sconfina spesso in quello un po' più concreto di amante, che resta, nondimeno (e fortunatamente) una parentesi extra-diegetica cui si allude con una battuta appena sussurrata (il film – detto per inciso – pare volutamente costruito sulla figura dell'ellissi narrativa, spesso segnalata da dissolvenze incrociate. Si fa, ad esempio, riferimento al passaggio dalla «morte» in carcere al risveglio nel centro di addestramento, ai tre anni di addestramento e ai primi sei mesi della relazione con Marco tramite raccordi d'immagine).
È Bob che inventa per lei un'infanzia felice, quando, in difficoltà per non avere alle proprie spalle un passato da rievocare (né genitori, né parenti, né amici), Nikita ricorre al suo aiuto. E ancora Bob che le consegna l'arma per compiere il suo primo omicidio nel giorno, non a caso, del suo compleanno.
Non vi sono dubbi che si tratti di un'iniziazione: il valore di prova è ribadito da Bob attraverso il particolare della finestra murata che costringe Nikita a trovare, da sola, un'altra via di scampo.
All'iniziazione non fa seguito, comunque, il classico parricidio o sacrificio rituale: il rapporto padre-figlio/a viene, infatti, recuperato all'interno di un vago triangolo amoroso che lega contemporaneamente Nikita ai due protagonisti maschili.
Se Bob e Marco assolvono funzioni rivali (di padre, l'uno; di amante, l'altro) nei confronti di Nikita, ciò si deve alla doppia personalità della protagonista. A Josephine si oppone Marie; al killer spietato, simbolicamente guidato dal paterno Bob, si affianca l'innocente infermiera protetta dall'amorevole Marco.
Anche Marie o, per meglio dire, anche questa nuova identità ha, però, bisogno di una guida per potersi appieno manifestare. Come infatti una figura virile avvicina (o, più esattamente, riavvicina) Nikita alla violenza, così ora una figura materna – Amande – insegna alla protagonista l'arte della seduzione.
Col personaggio di Amande, la presenza femminile nel film, ridotta quasi a zero dalla durezza implicita nell'addestramento e nella professione di killer tradizionalmente maschile, si arricchisce di una figura presentata come l'incarnazione stessa della femminilità.
Killer, forse, nel suo passato, al pari di Nikita, Amande ha il compito di trasformare la protagonista «nell'essenziale di un uomo: una donna». Sono, dunque, alcune lezioni di fascino a completare la formazione di Nikita, pronta ormai ad uscire «allo scoperto» e ad assolvere i compiti relativi alla sua nuova professione.