Questa sera (sabato 15 luglio) su La7D c’è Sex Crimes - Giochi pericolosi di John McNaughton, un thriller tipicamente anni Novanta con un grande cast anche quello esemplare espressione del decennio in questione: Matt Dillon, Kevin Bacon, Denise Richards, Neve Campbell e Bill Murray. Siamo andati a cercare nell’archivio quello che si scrisse sulla rivista al tempo dell’uscita e abbiamo trovato questo interessante pezzo di Alessandra Di Luzio pubblicato su Cineforum 377 (pdf disponibile qui).
Il presupposto che regola Sex Crimes è lo stesso su cui si fondano gli unici degni eredi del romanzo classico (anglosassone), ovvero la soap opera e il serial: per semplificare, c'è un microcosmo (che può essere una città, una scuola, un'azienda, una spiaggia o altro, a seconda dei casi) e ci sono vari nuclei (familiari e non) che lo abitano e vi si muovono all'interno intessendo relazioni di tipo contrastivo o amichevole, e spesso cambiando atteggiamento tra l'uno e l'altro tipo. E poi ci sono gli eventi, pochi e scarni ma dilatati all'infinito attraverso il differimento del sapere: le azioni vengono praticate e/o raccontate con schemi complicatissimi in cui, per esempio, un certo evento può essere compiuto da uno o più personaggi e riportato a un altro personaggio in modo menzognero, oppure in modo veritiero ma con preghiera di conservare il segreto, oppure in modo menzognero ma in buona fede, oppure in modo veritiero ma con qualche omissione determinante che si trasformerà immediatamente in malinteso da utilizzarsi in una fase successiva ai danni di chi l'ha riportato, oppure in modo veritiero ma inopportuno... e così via, fino a involuzioni infinite in cui, di rimando, è proprio la parzialità del sapere che determina l'accadere.
Il film di McNaughton utilizza questo meccanismo a pprofondendolo sul piano della detection e del complotto, ricomponendo di continuo gli schieramenti e le formazioni di gioco: all'inizio l'istruttore Lombardo si presenta come un modello di rettitudine, amico dell'élite locale (nella figura della ricca fidanzata e della ricca ex amante madre di Kelly) e della polizia (nelle figure di Roy Duquette e Gloria Perez). Dalla sua parte ci sono gli studenti, ma non tutte le studentesse, che soffrono perché lui è irremovibile di fronte alle loro profferte. Poi, dopo la denuncia per molestie (un fatto tiportato, ma solo ipoteticamente accaduto) si formano delle vere e proprie squadre pronte ad affrontarsi in aperta lotta: da una parte Sam Lombardo e l'avvocato Bowden, dall'altra le due ragazze più la polizia (sempre Duquette e Perez). Uno a zero. Fine del ptimo tempo. Nel secondo tempo le squadre cambiano: Lombardo e le ragazze da una parte, la polizia più l'élite locale dall'altra. Ma dopo qualche minuto cambiano ancora: Lombardo e una delle ragazze da una parte, l'altra ragazza (e la polizia) dall'altra. E ancora: Lombardo e la seconda ragazza contro l'altra e la polizia. E ancora: le due ragazze contro Lombardo. E così via. Alla fine del secondo tempo, esauriti gli incroci e la gamma dei complotti, le cose avranno preso tutt'altra piega, ma non è ancora finita: ai supplementari c'è un nuovo colpo di scena, con qualche ripescaggio nelle panchine. Ma la partita si decide ai rigori (i titoli di coda), che costituiscono – un po' come i backstage dei film di Jackie Chang – la messa a nudo definitiva. Nella fattispecie, il fuori campo: tutto quello che avremmo voluto sapere e vedere ma a cui non ci era stato concesso accedere, oltre a tutti i dubbi di sceneggiatura che ci stavano tormentando, nei confronti dei quali avevamo solo ipotizzato delle risoluzioni di cui nessuno ci aveva ancora dato conferma. Insomma, la soluzione capovolta in fondo alla pagina dei rebus. Da questo punto di vista non si può certo dire che Sex Crimes manchi di coerenza o presenti qualche sbavatura di sceneggiatura: è uno di quei film in cui tutto torna.
Eppure dopo il film di McNaughton, quando l'ultimo dei credit scompare dallo schermo, c'è qualcosa che lascia insoddisfatti. C'è una freddezza di fondo che lascia perplessi, un abuso di certi stilemi dello stile patinato – più televisivo che cinematografico – che finisce per risultare ingiustificato, allontanandosi dall'intento ironico che (forse) in origine avrebbe dovuto veicolare. Ci riferiamo soprattutto all'uso del ralenti (la sequenza in cui le ragazze lavano la jeep del professore, per esempio, insieme a tante altre) e alla caratterizzazione dei personaggi femminili, che fanno di Sex Crimes un enorme calderone di pubblicità non stop: ragazze e donne mature che ancheggiano anziché camminare, che occhieggiano anziché guardare, che ansimano anziché sussurrare... come se avessero a disposizione solo pochi secondi per stuzzicare l'occhio di chi guarda invece che centotredici minuti. Insomma, forse il problema principale di questo film è nella scansione dei tempi, troppo dilatati narrativamente, troppo serrati nella successione dei segmenti. La fotografia sfavillante e il décor contribuiscono ad acuire questo effetto estetizzante, questa esibizione fine a se stessa di corpi levigati e volti perfetti, con inquadrature che sottolineano il dettaglio (i glutei scolpiti delle ninfette in costume, le gocce d'acqua che scivolano sulla pelle abbronzata, le labbra tumide che si schiudono a scoprire un sorriso innocente, e via dicendo). Che McNaughton fosse ossessionato dal corpo umano come oggetto da smembrare, dissezionare e guardare l'avevamo capito da tempo (in modo diverso sia Henry pioggia di sangue che Lo sbirro, il boss e la bionda mettono in pratica il concetto). Ma l'immaginario giovanile cui Sex Crimes fa riferimento (un po' di Baywatch, un po' di Melrose Place, un po' di nuovo horror seriale alla Scream) non convince pienamente. In definitiva, più McNaughton prosegue nella sua carriera registica più ci viene nostalgia del buon vecchio Henry, che senza ticorrere a troppi colpi di scena aveva saputo regalarci vere emozioni.