Questa sera su Rai 5, alle 21.15, Wild Man Blues di Barbara Kopple, documentario che nel 1997 raccontò la tournée europea di Woody Allen e della sua jazz band. Erano gli anni di poco successivi allo scandalo che portò alla fine del matrimonio tra Allen e Mia Farrow e Kopple cercò di cogliere l'uomo al di là della maschera d'artista. Ripresentiamo la recensione di Luciano Barisone, sul numero 367 di Cineforum.
Barbara Kopple è cineasta rigorosa, artefice di uno sguardo militante e oggettivo che l'ha portata ad analizzare sia eventi collettivi come lo sciopero dei minatori americani (Harlan County USA, 1977), la lotta contro il nucleare (No Nukes, 1981) e il sogno americano (American Dream, 1991), sia vicende individua li come quella di Mike Tyson (Fallen Champ: the Untold Story of Mike Tyson, 1993).
Il caso di Wild Man Blues sta a cavallo fra le due tendenze e racconta la tournée europea di Woody Allen e della sua jazz band. Il pretesto sarebbe quello di mostrare il back-stage, ma la Kopple va ben oltre tali premesse. Filmando senza concessioni, con pazienza e soprattutto senza quasi mai interagire col soggetto filmato, la regista ci dice ben poco di Allen musicista. In compenso fornisce un lucido ritratto dell'uomo e dell'artista.
Wild Man Blues è in effetti una riflessione sulla celebrità e sull'effimera messa in scena della stessa. Da una parte la realtà, dall'altra la rappresentazione: in mezzo non solo musica, ma anche memoria, cerimoniale, rapporti fra pubblico e privato. E soprattutto un uomo incerto fra il vivere e il recitare, un "io" vagabondo sulla soglia fra persona e personaggio, uno Zelig che si mostra, si nasconde, si trasforma. Proprio come gli eroi dei suoi film, tragici, comici, pirandelliani, orfani di Bergman e di Fellini.
Il merito della Kopple è quello di farsi dimenticare, di diventare un oggetto stesso della messa in scena documentaria. Solo così essa riesce a registrare lo "scandalo" che la vita ripropone a ogni passo: evidenziando alcune "verità" su Allen e sul mondo che gli orbita attorno, quello intimo e familiare, ma anche quello del pubblico cinefilo.
Da una parte emerge così la figura di un uomo "impossibile", preda di minuziosi rituali, di nevrosi, appena mitigati dall'autoironia e dalla presenza di Soon Yi, vera moglie, madre, figlia e amante. Dall'altra la pletora dei postulanti di celebrità, adoratori di icone: dalla massa dei fan, che precede e segue ogni sua comparsa in pubblico (in incontri al contempo esilaranti e mortificanti) ai sindaci italiani che sfruttano politicamente l'immagine del cineasta-musicista in incontri che si concludono immancabilmente con un trofeo o un libro (e Allen che commenta perfido: «Meno male che non parlano l'inglese»).