Più che una rassegna, un laboratorio sperimentale dove confrontarsi con visioni inedite e strategie audiovisive complesse. Questa edizione di Filmmaker Festival, che si svolgerà dal 29 novembre all’8 dicembre a Milano, come sottolineato dal direttore Luca Mosso, cercherà di far riflettere il proprio pubblico non soltanto su cosa, ma anche sul come la si vedrà.
Sì, perché, nonostante le allarmate diagnosi di crisi, a volte prossime all’accertamento di morte, mai come in questo momento il cinema si sta evolvendo, espandendo e rimodellando. Molto sta cambiano nella fruizione cinematografica. La catena della comunicazione audiovisiva si è modificata vistosamente. Tempi, luoghi e strumenti di visione aumentano e si spostano rispetto alle ritualità tradizionali.
Come sostiene Francesco Casetti, se da un lato la moltiplicazione dei modi di fruire film e la fine della centralità della “sala” ha allargato i confini dell’esperienza filmica, dall’altro, questa si è sciolta in una più generica esperienza mediale, venendo così a perdere una propria specificità: «La visione di un film, che un tempo pareva caratterizzata da una serie di tratti stabili e precisi, oggi tende ad acquisire contorni più ambigui: soprattutto quando si realizza attraverso nuovi dispositivi e in nuovi luoghi di fruizione, per un verso la sua identità sembra sparire, ma per un altro sembra rinnovarsi».
È all’interno di questa riflessione che trova spazio Alberi, cineinstallazione di Michelangelo Frammartino proposta, in prima italiana dopo la presentazione al Moma di New York, al Cinema Manzoni, storica sala milanese che, per l’occasione, rivedrà alzarsi le saracinesche dopo la chiusura del 2006. Frammartino con questo lavoro, che sarà ripetuto in loop per l’intera giornata di venerdì 29, prova a mettere in discussione il tradizionale ruolo dello spettatore e la sua posizione: «un’immagine nasconde sempre qualcosa e mi interessano sempre le immagini per quello che ti nascondo ancora più che per quello che mostrano. Quello che nascondono lo devi andare a cercare, lo devi costruire tu, quasi come se lo filmassi. Chi guarda in qualche modo rifilma, se glielo concedi».
Un progetto che mette ancor più a fuoco un aspetto chiave del suo cinema, quello della fruizione attiva. Già con le opere precedenti si delineava un’idea di film come sorta d'installazione interattiva capace di esistere solo attraverso la partecipazione spettatoriale: intervistato da Mosso, in occasione dell’uscita de Le quattro volte, Frammartino dichiarò di considerare il film come «un corpo morto che ha bisogno dello sguardo attivo dello spettatore per prendere vita». Con Alberi tutto questo evolve, in quanto lo spettatore si sente ancora di più «il polo fondamentale di un percorso di condivisione».
Le opere selezionate per il Concorso, da sempre rivolto con interesse alle varie espressioni di cinema del reale, sono testimonianza della vitalità della produzione di non fiction. Su tutte Feng Ai di Wang Bing. Ma anche Stop the Pounding Heart di Roberto Minervini regista marchigiano, emigrato da tempo negli Stati Uniti, prima a New York, poi a Houston, capace di gesti filmici in grado di ricostruire un’esperienza, che sono un darsi del mondo come percezione ogni volta diversa, magari mai nuova, eppure sempre straordinaria. Spazio speciale, quello del Fuori Concorso, a Claire Simon con Gare du Nord e Alberto Fasullo con Tir che, come Minervini, mettono alla prova il reale con gli strumenti della finzione attraverso due opere che parlano dell’Europa contemporanea e dei suoi confini.
Ma Filmmaker non è soltanto il Concorso Internazionale. Merita attenzione la sezione Fuori Formato, dedicata al cinema di ricerca contemporaneo, dove si affrontano di petto i limiti e le possibilità dell’immagine cinematografica. Una linea di programma senza distinzioni di genere e durata, dedicata a lavori che esprimono la ridefinizione continua del cinema all’interno del continente visivo. Si va da Redemption di Miguel Gomes a Let Us Persevere in What We Have Resolved Before We Forget di Ben Russell, da Sto Lyko di Aran Hughes e Christina Koutsospyrou a O quinto Evanxeo de Gaspar Hauser, opera prima di Alberto Garcia.
La Retrospettiva del festival è dedicata a Ross McElwee, autore che ha declinato la prassi documentaristica nei termini di ricerca di un sé perduto, che si è dimostrato capace di leggere nel proprio vissuto personale aspetti e questioni di portata generale. McElwee sarà protagonista domenica 1 dicembre di una lezione di cinema in prima persona dove ripercorrerà una carriera quarantennale segnata dalla rottura nei confronti del cinema diretto, che l’ha condotto a elaborare un’inedita forma filmica in prima persona.
Questi sono soltanto alcuni degli appuntamenti della manifestazione, che si articola in altre sezioni (Nutrimenti terrestri, Nutrimenti celesti; Prospettive; Eventi speciali); delle rotte indicative per la navigazione in un programma difficilmente comprimibile (consultabile al sito www.filmmakerfest.com).
Un’edizione, questa del 2013, inevitabilmente dedicata a una delle anime del Festival, oltre che di Studio Azzurro, mancata lo scorso agosto: Paolo Rosa, uno dei riferimenti chiave, in Italia, per l'interattività multimediale applicata alla creatività. Sarà ricordato con la proiezione del suo film Il Mnemonista, ispirato al caso del violinista russo Cerecevskij “affetto” da un’incredibile capacità di memorizzazione visiva, che ha ispirato lo spettacolo Je suis un phénomène di Peter Brook e uno dei racconti di Finzioni di Borges. Opera allegorica che fa di quest’uomo fiaccato dalla propria incapacità di dimenticare una metafora dell’attuale stato delle cose.