Medea’s Children di Milo Rau, una tragedia vera

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Con un geniale escamotage, lo spettacolo inizia a cose fatte, sul tono leggero dell’“after talk” con gli attori più piccoli (Anna Matthys e Vik Neirinck) già sul proscenio accanto all’unico adulto del gruppo (Peter Seynaeve) per rispondere alle domande del pubblico. Alla spicciolata prendono posto sulle sedie i più grandi (l’età degli attori, tutti non professionisti, va dagli 8 ai 14 anni): Emma Van de Casteele, Jade Versluys, Gabriël El Houarin (più interessato a guardare il cellulare che a sottoporsi al dibattito) e Sanne De Waele con un asciugamano in testa. L’atmosfera è colloquiale e spensierata (le domande vertono sulla loro prima esperienza teatrale, sui provini…), si parla a posteriori di quello che si è visto in scena e di come si sono calati nei personaggi. Ogni tanto qualcuno vuole rifare il suo monologo o cantare una canzone e Peter glielo concede purché sia un breve estratto. Intanto vengono poste le questioni su cui ci si è interrogati per preparare Medea’s Children ovvero come rappresentare oggi una tragedia (non solo quella lontana nel tempo e diventata mito, ma anche quella reale, avvenuta in un tempo e in un luogo non troppo distanti: l’omicidio da parte di una donna belga dei suoi 5 figli, il 28 febbraio 2007, e il successivo tentativo di suicidio) e i grandi temi a essa collegati: l’amore, la maternità, l’identità, la solitudine, l’isolamento, la morte, la fine del mondo… Insomma la vita in tutta la sua assurdità (Beckett viene citato esplicitamente, essendo l’autore di teatro preferito dalla piccola Anna e gli stessi personaggi sono intrappolati in un tempo sospeso dove si guarda retrospettivamente a quello che è successo, ma dove nulla può cambiare).

Quando vengono tolte le sedie e si alza il velario, Peter imbraccia la videocamera e la vicenda di Amandine (questo il nome scelto per la figlicida) prende corpo. I cinque giovani attori interpretano i vari ruoli: le vittime, la carnefice, ma anche la madre di Amandine, Mounir, il marito assente, e il Dottor Glas, che lo aveva adottato e che aveva con lui un rapporto stretto e ambiguo e con cui la famiglia viveva. Sullo schermo sul fondo della scena corre parallela la rappresentazione della Medea di Euripide con attori adulti (sulla spiaggia di Ostenda compare lo stesso Milo Rau nel ruolo del drago) a cui si alternano momenti della tragedia di Amandine.

Con la solita maestria, Rau (anche autore della drammaturgia con Kaatje De Geest), senza dare giudizi, ripercorre la vicenda attuale tenendo come riferimento quella di Medea, adottando vari punti di vista, suscitando domande che rimangono senza risposta (Amandine ha agito per vendetta? Per far soffrire il marito? Per proteggere i figli da un futuro terribile?) e mostra i cinque omicidi nel dettaglio, senza fare sconti. Entrando e uscendo dal personaggio che interpretano, i bambini ripercorrono le due storie da cui traggono spunto per pensieri e considerazioni gravide di implicazioni psicologiche e relazionali, rivendicando il loro diritto a parlare e a essere protagonisti. Fin dalla discussione iniziale la piccola Anna ha ricordato che nelle tragedie greche i bambini erano condannati al silenzio e la violenza non veniva mai rappresentata (l’osceno è infatti ciò che rimane fuori dalla scena), vivendo solo nell’immaginazione degli spettatori. Secondo lei, invece, i bambini devono essere protagonisti e la violenza deve essere rappresentata in tutta la sua brutalità. Ed è quello che succede: è tutto molto viscerale, realistico e di forte impatto: Rau non edulcora, ma mostra la violenza in modo crudo e diretto. I bambini vengono aggrediti, soffocati, sgozzati dalla madre (interpretata da Jade) uno dopo l’altro, ripresi dall'occhio impudico e morboso della telecamera che inquadra il sangue che sgorga dalla gola, i corpi che sussultano, offrendo in pasto agli spettatori quelle azioni efferate da cui non può distogliere lo sguardo. Le perplessità etiche sull’uso di bambini rispetto a temi così forti non fanno in tempo ad affiorare perché gli stessi interpreti riportano il tutto sul piano della finzione rialzandosi e pulendosi dal sangue che li ricopre avendo ben chiaro che stanno interpretando una tragedia che non può essere vissuta (e vista) in altro modo. E la tragedia continua anche dopo perché «The world just continues to turn». (Nella realtà, a distanza di quindici anni, nel giorno del tragico anniversario, la madre omicida chiederà l’eutanasia).

Come già aveva fatto in Five Easy Pieces, dove i bambini ricostruivano i crimini del pedofilo Marc Dutroux, Milo Rau combina la tragedia classica e quella attuale «per arrivare a una comprensione più profonda di ciò che non conosciamo» proponendo al contempo una potente riflessione sulla rappresentazione, sul fare teatro e sulla tragedia che è la vita («Sappiamo che finirà. Non perdiamo la speranza. Questa è la vera tragedia»). Medea’s Children è un pugno nello stomaco che non offre risposte preconfezionate né tantomeno giudizi, ma invita lo spettatore a interrogarsi sulla complessità del reale e sulla responsabilità individuale di fronte alla violenza e alla sofferenza. Ancora una volta siamo tutti coinvolti.

 

© Michiel Devijver

 

Spettacolo in olandese e inglese

visto a Triennale Teatro Milano il 2 marzo 2025

Prossime date:

Berlino, Schaubühne 4-6/4/2025

Amburgo, Kampnagel 10-12/4/2025

San Gallo, Konzert & Theater St.Gallen 23-24/5/2025

Varsavia, Teatr Dramatyczny, 30-31 maggio 2025

Barcelona, Teatre Lliure 21-22/7/2025