Il sogno, per la società cambogiana contemporanea, è forse quello che immagina una Storia del '900 senza i quattro anni di dittatura dei Khmer Rossi dal 1975 al 1979, senza Pol Pot e senza il genocidio di quasi due milioni di persone. O forse, l'unico sogno vissuto dalla Cambogia è proprio quello di uno dei più feroci regimi di sempre, e più propriamente si tratta di un incubo, di un orrore di morte e utopia.
Sta di fatto che non esiste una versione della storia cambogiana senza un salto nel vuoto, senza un buco di ricordi o di presenze, senza una sorta di amnesia collettiva che a quasi vent'anni dalla morte di Pol Pot e dalla fine della resistenza dei Khmer nelle aree rurali del paese ancora oggi condiziona la vita di uomini e donne, di vecchi e di giovani.
Dream Land di Steve Chen (Cineasti del presente) è la radiografia di un cambiamento in corso - il progressivo slittamento dal passato al futuro da parte di una città, la capitale della Cambogia Phonm Penh, e di un'intera nazione, senza la possibilità di vivere appieno e in maniera consapevole il presente.
Protagonista del film è una giovane agente immobiliare che vende appartamenti di lusso a occidentali e rappresentanti dell'alta società cambogiana. Si chiama Da, è bellissima, vive col fidanzato e si confida spesso con alcuni amici. Quando fa visitare gli appartamenti che gestisce è a suo agio, si sente nel suo mondo - per quanto solamente sognato o immaginato - cita videoclip e modelli di ricchezza a cui vorrebbe aderire. Da è ossessionata da una relazione che non decolla, dalla mancanza di un dialogo con il suo uomo e soprattutto dalla progressiva perdita di memoria del suo passato, dall'incapacità di affermare se alcuni sue immagini mentali siano pezzi di vita vissuta o solamente sogni. Da vive in una Phonm Penh diventata ormai una metropoli asiatica come tante, con i locali di karaoke, le strade affollate, il consumo a ogni angolo di una cultura pop invasiva e globalizzata. Con la stessa velocità con cui la nuova architettura milionaria cambia l'aspetto della vecchia capitale, così la musica leggera e le immagini televisive occupano l'immaginario di una generazione. Perduto il vecchio nella nebbia della storia, il nuovo che avanza introduce nuove forme di amnesia e offuscamento del presente.
A un certo punto del film, Da parte con alcuni amici per una breve vacanza al mare: i giovani ragazzi visitano reperti di un passato relativamente recente (una residenza regale degli anni '20 del '900) ma in realtà lontanissimo, spendono il loro tempo in paesi che non riconoscono, vivono situazioni che loro stessi (e non solo lo spettatore) saprebbero indicare come il presente o il ricordo di una serenità passata. Da è gentile, disponibile, amabile, ma è sola, è distante da tutto. È nata oltre il passato da dimenticare del suo Paese, e al tempo stesso si trova a vivere ancora fuori dal nuovo, ipotetico tempo della sua gente: il tempo, che forse un giorno verrà, dell'elaborazione del dolore.
Da si rifugia in un sogno pop dai colori luminosi ma amorfi, imprigionata dalle inquadrature geometriche e affogata dalla luce impressionista scelta da Steve Chen. Da è il presente del suo Paese; lei non lo sa ancora, e non lo saprà mai, ma in qualche modo è la salvezza di un intero popolo, l'emblema di una nazione che non può più permettersi di voltare lo sguardo verso un passato mancante e al tempo stesso non ha ancora trovato il modo di costruirsi un futuro.