Ha tutti gli elementi di un thriller, Freiheit. La scelta del regista, però, è quella di scomporre uno a uno tali elementi, privandoli del ruolo e del significato che avrebbero dovuto avere nella vicenda. C'è quindi la scomparsa di una donna, e c'è la ricerca da parte di chi rimane (il marito e i figli), eppure, con una scelta che ricorda Gone Girl, entrambe queste componenti crollano dal loro interno già dai primi istanti.
Il film si apre, infatti, con la doppia storia di una donna non meglio identificata, senza casa e lavoro e alla ricerca di una città in cui vivere, e di Philip, avvocato difensore di un minore, accusato di aver ridotto in coma un uomo. Poche scene, e la relazione tra i due diventa chiarissima: la donna senza identità è in realtà Nora, la moglie scomparsa che Philip sta cercando, non senza passare attraverso una fitta campagna mediatica. Rispetto al film di Fincher, manca la possibilità di rivedersi nel vuoto lasciato, proprio grazie ai media, da parte della fuggitiva.
Freiheit passa così dal potenziale thriller alla vicenda drammatica e intimistica: se evidentemente Nora non è stata rapita, anche le ragioni alla base della fuga non sono legate ad atti di violenza o a soprusi. A spingere la donna ad abbandonare la famiglia non è altro che il desiderio di libertà. Libertà dalla routine e da quei momenti in cui non veniva ascoltata o era data per scontata; libertà di essere qualcuno di nuovo, potenzialmente chiunque, con un diverso taglio di capelli, un passato costruito ad hoc, delle relazioni furtive e dei nuovi amici.
Eppure, al tempo stesso, perdere la propria identità, la propria storia e le proprie radici, lascia smarriti, cancella se stessi dal mondo. Nora è morta nell'essenza, morta per il mondo che la circonda e la ricorda. È il dramma pirandelliano del Fu Mattia Pascal, è la perdita dell'identità, che la protagonista esprime attraverso il Lied Ich bin der Welt abhander gekommen di Mahler (raro momento, del resto, in cui riesce a essere profondamente sincera, gettando la maschera della nuova sé): «Vivo sola nel mio paradiso, nel mio amore e nella mia canzone».
La libertà, quindi, può essere una scelta difficile, snaturante, dolorosa e persino amorale. Nora abbandona i suoi figli, rovesciando l'immaginario comune di ciò che una madre dev'essere, così come la sua nuova amica rovescia, nei suoi spettacoli di arte erotica, il ruolo tra uomo e donna nella pratica sessuale. Eppure i ricordi e la nostalgia, talvolta, riaffiorano e la trascinano con sé come sassi nell'acqua; sono pensieri che avvolgono Nora e che portano Speckenbach a proiettarli – letteralmente – sul suo volto e su ciò che la circonda, quasi diventassero una realtà in grado di sovrapporsi alla realtà concreta.
La libertà è, insomma, un’arma a doppio taglio, che concede e toglie, che incatena Philip alle domande e all'incapacità di dialogare (il solo con cui riesce a parlare è l'uomo in coma, di cui sta seguendo il caso legale) e che riesce a ferire, forse ad annientare, chi, come Nora, la stava inseguendo.