focus top image

Usciva nel 1949 il libro di Cesare Pavese, La bella estate. Composto da tre racconti lunghi, soprattutto i primi due raccontano il delicato passaggio dalla giovinezza all’età adulta. Nel tempo assorto e sospeso dell’estate, nelle nudità più esposte, emerge l’urgenza del desiderio sessuale. Lo scrittore racconta l’espressione ancora incerta di una fisicità generatrice potenziale di impulsi e sensazioni e, d’altronde, frenata dalle convenzioni e dalle usanze sociali. “La giovinezza”, scrive Pavese, “è non possedere il proprio corpo né il mondo”.

Anche i due film francesi Tutto in un’estate e Enzo, presentati entrambi al Festival di Cannes 2025 anche se in sezioni diverse, sono storie di giovani concentrate al solo periodo della stagione estiva, nell’arco della quale assistiamo alla profonda mutazione dei due protagonisti.

Tutto in un’estate, opera prima di Louise Courvoisier, si apre con un bellissimo piano sequenza sul percorso di un venditore ambulante che va a rifornire la sua bancarella. Ambientato nelle zone rurali a ovest della Francia, ha per protagonista il diciottenne Totone che pensa solo a spassarsela finché la morte improvvisa del padre, unico membro adulto della famiglia, lo obbligherà a farsi carico della sorellina minorenne e rivedere le sue priorità. L’approdo all’età adulta per lui passa attraverso la sua iniziazione sessuale: incapace di mantenere un’erezione con le ragazzine con cui esce, riuscirà nell’intento con una giovane contadina, genuina e di aspetto rude, inizialmente frequentata al solo scopo di trarne dei vantaggi materiali per avviare una propria attività.

Di ben altra estrazione sociale è Enzo, il protagonista dell’omonimo film girato da Robin Campillo (subentrato a Laurent Cantet deceduto prima delle riprese). Ci troviamo a La Ciotat, sfondo del celebre arrivo del treno della storia del cinema, in una lussuosa villa borghese con piscina e genitori colti e benestanti. Disattendendo le loro aspettative, Enzo decide però di andare a lavorare come apprendista muratore. L’inizio del film ci mostra un cantiere polveroso di sabbia bianca, riflessa nell’accecante luce estiva, dove il ragazzo si fa notare per la sua inesperienza maldestra. L’asperità del lavoro, le mani martoriate, il corpo muscoloso, la sua indole poco incline a partecipare ai ritrovi a bordo piscina organizzati dalla famiglia, fanno sentire Enzo irrimediabilmente diverso dal suo ambiente di provenienza. Quando poi capisce di essere turbato dall’inaspettata prossimità con il muratore ucraino Vlad, rifugiatosi in Francia per la guerra, con cui tenta un approccio finito male, si chiude ancora di più in una solitudine invalicabile.

Due percorsi di iniziazione apparentemente molto diversi, eppure simili. Nessuno dei due giovani si sofferma a ragionare o pianificare il proprio futuro. Entrambi agiscono in preda a quell’impulso incosciente che appartiene alla giovinezza, incuranti delle reazioni che possono provocare negli altri. Totone ferisce l’unica persona che mostra un vero interesse a intraprendere una relazione con lui. Enzo, abituato ad avere tutto quello che desidera, si butta goffamente sul muratore ucraino, innescando una reazione a catena perché il compagno di stanza di Vlad convincerà il compatriota a ritornare in patria a combattere, per sottrarsi a una situazione ambigua e socialmente scomoda.

Nel finale del film di Campillo (Cantet), Enzo viene portato dagli ignari genitori in un rosselliniano viaggio in Italia per svagarsi da una depressione sempre più palese. Qui, tra le rovine pompeiane, riceverà a sorpresa una telefonata del suo oggetto del desiderio. Tra l’eco degli spari in sottofondo e le parole ambigue di Vlad, capirà che la sua attrazione era stata probabilmente condivisa. L’ultima immagine ci mostra il suo viso attaccato al cellulare, mentre si abbassa tra i ruderi per nascondersi ai familiari che girovagano.

Come per l’incipit la conclusione di Tutto in un’estate avviene in una sagra, dove Totone osserva di sottecchi la ragazza di cui si è approfittato, non osando più avvicinarla per la vergogna. In uno di quei finali così autentici che solo il cinema sa regalarci, a sorpresa è lei a chiamarlo e lui, girandosi, la vede ridente che si solleva la maglietta mostrandogli i seni nudi. Nel sorriso di Totone e nei suoi occhi che brillano c’è il guizzo giocoso di una rinnovata e sincera complicità.

Dai sussurri telefonici del borghese Enzo alle grida della contadina che concede il suo perdono attraverso un gesto fisico, questi due film sono anche due racconti sui palpiti e i desideri dell’acerba giovinezza. Come concluderebbe, forse, Pavese: “Il tuo tenero corpo / una zolla nel sole”.