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Di tutti i tabù, quello del ciclo mestruale è senz’altro tra i più diffusi. Se nel mondo occidentale è apparentemente innocuo, in alcune culture la fertilità è addirittura attribuita come uno stigma, sin dall’arrivo del menarca. Nel Nepal occidentale, sebbene ormai illegale e punito dal 2017, è ancora diffuso il Chhaupadi, una pratica che proibisce alle donne hindu la vita sociale durante le mestruazioni per presunta impurità, portandole a subire lunghi periodi di confinamento nelle fasi del sanguinamento, sia durante il mestruo che dopo il parto. 

A questo tema è dedito Blood Speaks: A Ritual of Exile, il progetto multimediale dell’attivista e artista transmediale indiana Poulomi Basu che nel 2013 ha indagato il Chhaupadi con diverse pratiche documentarie, tra cui una serie fotografica e tre cortometraggi in realtà virtuale. All’alto valore di denuncia del progetto nel suo insieme, contribuisce la notevole carica di impatto dei ritratti filmati in 360. Le donne nepalesi protagoniste di Blood Speaks, esibendo la propria condizione di isolamento, invitano lo spettatore a prendere consapevolezza della claustrofobica solitudine a cui sono periodicamente costrette, rendendolo di fatto l’agente stesso del cambiamento.

In continuità con questa indagine, Poulomi Basu e CJ Clarke – che di Blood Speaks era produttore insieme a Nonny De La Pena e Kevin Tsukii – tornano a scegliere la realtà virtuale per produrre un altro racconto di grande impatto, stavolta un’animazione interattiva in 6DoF progettata con Quill e Unity insieme al creative technical director Alap Parikh. Selezionata nel Concorso Immersivo del Festival di Cannes dopo l’anteprima mondiale al Tribeca nel 2023 e la selezione nel concorso XR di SXSW, Maya: The Birth of a Superhero è la storia di una giovane adolescente londinese con origini asiatiche che deve fare i conti con vergogna, disagio e inadeguatezza per l’arrivo del menarca e per le restrizioni che le vengono imposte dalla sua famiglia conservatrice.

Con Maya, Basu e Clarke approdano alla finzione e trasportano il racconto lontano dai villaggi sperduti nel Nepal, ambientandolo in pieno Occidente nella Londra contemporanea. Il cambio di prospettiva comunque non elimina la narrativa dell’esilio, che resiste nella grande metropoli ma va assumendo i subdoli contorni dell’autoisolamento dovuto a bullismo e pregiudizio.

Grazie a un sapiente uso del linguaggio narrativo e delle dinamiche interattive, ci abbandoniamo all’esperienza sin dal prologo. Dopo aver indossato il visore, a poco a poco i riferimenti alla dimensione reale visibili in pass-through si colorano di rosso sangue e approdiamo in un territorio magico, dove elementi mitici e dalla forte carica spirituale ci guidano dentro l’universo femminile della protagonista. Il mondo, avverte una divinità arcaica in questo rito di passaggio, ha perso il suo naturale equilibrio ed è la nostra missione ristabilirlo grazie al potere femminile del ciclo mestruale.

E così, l’odissea al fianco della protagonista ha inizio proprio con il menarca, che arriva a scuola sotto gli occhi di tutti i bulletti facendoci letteralmente sprofondare in un’enorme voragine a forma di vagina. Nel corso dell’avventura, il nostro personaggio è portato ad affrontare continue sfide, situazioni di pericolo e momenti di disagio. Il confronto con le creature mostruose, i bulli e la madre petulante, così come le altre provocazioni disseminate qua e là, distillano un po’ per volta un gran senso di ingiustizia, inadeguatezza e imbarazzo. E questo, banalmente, avviene anche nella semplice interazione con l’assorbente interno, l’elemento simbolo dei tabù sul ciclo mestruale, che va preso in mano più volte nel corso del racconto per far avanzare la storia.

In questo sconforto, a infondere amor proprio e incoraggiare solidarietà, sopraggiunge Maya. Incarnazione di femminismo, resilienza e giustizia sociale, la supereroina sud-asiatica è un chiaro invito a ritrovare la forza interiore per sovvertire la normalizzazione dei tabù e a decolonizzare il nostro sguardo. Con o senza ciclo mestruale, l’opera di Poulomi e Clarke rappresenta la ricerca da intraprendere dentro sé stessi fino alla scoperta del potere radicale per reagire, smontare i pregiudizi e sovvertire lo stereotipo che vuole la donna debole, emotiva o incapace durante il periodo mestruale. Un esempio virtuoso di embodied empowerment.